“Love is a losing game. One I wished I never played. Oh, what a mess we made”. Sono alcuni versi del brano “Love is a losing game” di Amy Winehouse dall’album “Back to black” del 2006, il suo secondo disco, quello dei record. Un giro di note e parole che rendono bene talento e tormento di un’artista fuori dal comune: la Winehouse è stata una stella della musica britannica che ha brillato in maniera fulgida, persino abbagliante, spenta troppo presto all’età di 27 anni, tra fragilità, solitudine e dispersioni. Un’artista amatissima a tutt’oggi, che però si è sentita in vita poco amata. In sala dal 18 aprile con Universal troviamo “Back to Black”, film diretto da Sam Taylor-Johnson con Marisa Abela, Lesley Manville e Eddie Marsan. Un biopic dal chiaro stile inglese, che non brilla tanto per linea di racconto, ma coinvolge per il sentito omaggio all’artista, per i suoi brani così ruggenti e dolenti, ma anche per le musiche di Nick Cave e Warren Ellis. Dal 24 aprile arriva al cinema “Confidenza”, il nuovo film di Daniele Luchetti, ancora una volta un adattamento da un romanzo di Domenico Starnone. Un thriller esistenziale, un labirinto psicologico nella mente di un professore di Lettere preda di paure, insicurezze e segreti. Protagonista un sempre ottimo Elio Germano affiancato da Federica Rosellini, Vittoria Puccini e Isabella Ferrari. Anche qui un grande musicista ha curato colonna sonora e brani: Thom Yorke, leader dei Radiohead. Il punto Cnvf-Sir.
“Back to Black” (Cinema, 18.04)
La cantante Amy Winehouse (classe 1983), portentosa voce inglese dalle sonorità jazz e soul, ci ha lasciato precocemente il 23 luglio 2011 all’età di 27 anni. A spezzarle il domani è stato un mix di delusioni, fragilità e sofferenze, insieme a dispersioni tra alcol e disturbi alimentari. Due soli album in carriera, ma di grande risonanza: l’esordio nel 2003 con “Frank” e poi nel 2006 “Back to Black”, che la porta ai vertici delle classifiche mondiali e le permette di vincere 5 Grammy Awards, tra cui miglior album pop, artista esordiente e brano “Rehab”. Pochi anni dopo la sua morte, nel 2015 arriva il primo tributo cinematografico con “Amy” di Asif Kapadia (“Senna”, “Diego Maradona”), Premio Oscar come miglior documentario, e ora nel 2024 il film biografico “Back to Black” della regista Sam Taylor-Johnson (“Nowhere Boy”, 2009), nei cinema dal 18 aprile con Universal.
La storia. Londra, anni Duemila, la giovane Amy Winehouse si esibisce nei club, supportata dalla nonna Cynthia e dal padre Mitch. Nel 2002, grazie al favore di un amico e all’intuito di un talent scout, entra a far parte dell’etichetta Island. Amy, però, mette subito in chiaro che non vuole diventare un fenomeno costruito a tavolino, una delle tante “reginette del pop”: vuole preservare la sua autenticità tra testi e voce. E così fa. Nel 2003 esce il primo album “Frank”, che incassa subito ottime critiche, seguito dal folgorante “Back to Black” che la porta a sfondare anche Oltreoceano. Nel mentre iniziano i problemi con il cibo e un legame sfibrante con Blake Fielder-Civil. Un periodo in caduta libera sino alla drammatica morte nel 2011.
“Volevo fare un film dalla prospettiva di Amy – ha raccontato la regista – attraverso i suoi occhi. L’unico posto in cui risiede la sua verità è nei testi delle sue canzoni. Ho deciso di raccontare la sua storia attraverso le sue parole, tratte dai brani che ha scritto e che lasciano trapelare la sua anima. Cantava del suo amore, del suo dolore e della sua delusione infondendo profonde emozioni e spesso un umorismo tagliente”.
Il film della Taylor-Johnson rivela tutte le caratteristiche del classico biopic inglese, coinvolgente e dalla forma elegante, non poco patinata. L’opera gira agile tra note di senso e note stonate, mostrando a livello narrativo soluzioni in verità abbastanza convenzionali, annacquate. Il racconto procede a passo troppo spedito, con poco approfondimento, sui legami familiari – splendidi però i raccordi confidenziali con la nonna Cynthia, i passaggi più belli del film – e sull’amore bruciante per Blake, che si ripercuotono su Amy come onde devastanti. A bilanciare il racconto e a imprimergli fascino è il lavoro degli interpreti, in primis la performance potente di Marisa Abela, che fa il possibile per accostarsi con credibilità e rispetto alla figura (e alla voce) di Amy, come pure i comprimari Lesley Manville e Eddie Marsan, sempre acuti e misurati. Nel complesso, nonostante le imperfezioni, “Back to Black” riesce a brillare proprio perché parla di Amy, delle sue canzoni (“Valerie”, “Back to Black”, “Love is a losing game”, “You know I’m no good”, compreso il richiamo a “Body and soul” con Tony Bennett), dei suoi occhi capaci di bucare, dell’iconica chioma nera vintage e di quel suo talento così luminoso minato da una fragilità commovente. A impreziosire il film la dolente colonna sonora firmata da Nick Cave e Warren Ellis, autori anche del brano “Song for Amy”: bellissimo e struggente omaggio, un gioiello. Film complesso, problematico, per dibattiti.
“Confidenza” (Cinema, 24.04)
Daniele Luchetti, romano classe 1960, in quasi quarant’anni di carriera ha messo in fila una serie di racconti di matrice sociale che accostano denuncia, impegno civile e lampi di ironia pungente, trovando una marca stilistica riconoscibile. Tra i suoi titoli: “Il portaborse” (1991), “La scuola” (1995), “Mio fratello è figlio unico” (2007), “La nostra vita” (2010) e “Lacci” (2020). Ha diretto anche la terza stagione della serie “L’amica geniale” (2022) e il doc “Codice Carla” (2023). Dal 24 aprile torna al cinema con “Confidenza”, un thriller esistenziale che prende le mosse da un romanzo di Domenico Starnone; a firmare il copione insieme al regista è il Premio Strega Francesco Piccolo. Protagonisti Elio Germano, Federica Rosellini, Vittoria Puccini, Pilar Fogliati e Isabella Ferrari.
La storia. Roma, oggi. Pietro Vella è un docente-scrittore in pensione. Vive con un peso nel cuore, la paura che venga rivelato un suo segreto, e immagina di togliersi la vita. Ritorna con la mente agli anni ’80, quando giovane insegnante di liceo intreccia una relazione con una sua brillante allieva, Teresa, appena diplomata. Un amore intenso, coinvolgente, tormentato, che prende una piega inaspettata quando una sera Pietro e Teresa si confidano dei segreti che non hanno mai avuto il coraggio di rivelare. Da quel momento l’uomo inizierà a vivere nel terrore…
“‘Confidenza’ – sottolinea il regista – tortura il suo personaggio, Pietro Vella, perché spreca la sua unica vita di uomo per vivere nella paura dell’amore e nell’amore per la paura. Lo pedina nello spavento e nello spavento gli augura di chiudere la sua parabola. Con il cast abbiamo lavorato costantemente alla ricerca di sottotesti distorti, per dare il senso di uno squilibrio perenne”.
Luchetti è come sempre bravo e molto abile nel confezionare racconti di sostanza e senso, ammantati da un respiro sociale. Qui la traiettoria segue il personaggio di Pietro, insegnante disciplinato e trascinante, che però rivela non poche fragilità e chiaroscuri a livello personale: è insicuro, ondivago, in cerca di rassicurazioni, spaventato dal peso dei suoi segreti e tendenzialmente controllore delle donne della sua vita. Come chiosa il regista: “Un maschile intossicato dal narcisismo, dal senso di essere impostori”.
Il tessuto narrativo del film si compone di temi interessanti, anche di stringente attualità, a partire dalla riflessione su maschile e femminile, verità e peso dei silenzi, irrisolti del passato, come pure la dimensione didattica, le relazioni familiari e la genitorialità. Un film fin troppo carico di piste narrative e aspettative però non sempre governate in maniera salda, anzi qua e là si colgono delle dispersioni. Se la regia di Luchetti è sempre di grande incisività, mai banale, in “Confidenza” l’equilibrio tra contenuto e forma appare poco armonico, rivelando uno svolgimento un po’ faticoso.
Elio Germano si conferma bravissimo nel cesellare i suoi ruoli, entrandoci dentro con convinzione e rispetto, donando loro una chiara identità e verità. E fa così anche con Pietro, che appare sfaccettato tra tonalità di tenerezza e altre marcate da ombrosità, egoismo asfissiante. A regalare un’atmosfera elegante e insieme spigolosa sono le musiche di Thom Yorke, leader dei Radiohead, che con Daniele Luchetti aveva lavorato per lo splendido doc “Codice Carla” (2023) su Carla Fracci. “Confidenza” è complesso, problematico, per dibattiti.