“Abito in quel territorio, per me non sono notizie. È la mia casa e in quella casa si sta consumando una tragedia. La situazione sta peggiorando scivolosamente. I russi stanno prendendo di mira non solo obiettivi militari. Colpiscono i civili e le infrastrutture. Dalle ultime notizie che ho ricevuto, pare che l’80% delle fonti energetiche in Ucraina sono state distrutte o rovinate. Da religioso, mi chiedo: di umanità è rimasto qualcosa nei cuori del popolo russo? In guerra non esistono situazioni semplici, noto però una distruzione sempre più massiccia”. Direttamente da Zaporizhzhia dove risiede, la città ucraina della centrale nucleare, mons. Maksim Ryabukha, vescovo ausiliare dell’esarcato greco-cattolico di Donetsk, esprime parole di preoccupazione. Lo fa a Roma, in visita al Sir e alla Fisc (la Federazione dei settimanali cattolici italiani). Con i giornalisti, il vescovo di un esarcato che comprende le regioni più vicine al fronte, come Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Dnipro, rifiuta l’idea di cedere parte del territorio ucraino ai russi per raggiungere un negoziato di pace. “Vi faccio un piccolo paragone”, spiega. “Quello di un leone che entra in un posto dove è la mia famiglia. Dire che noi dobbiamo dare pezzi di terra alla Russia equivale a dire che i miei figli vengano mangiati dal leone. Magari si sazia, si tranquillizza ma è stupido pensare che il leone, dopo aver mangiato qualcuno, diventi umano. La fame ritorna”. Il vescovo racconta le sue missioni a fianco della popolazione anziana e malata rimasta a pochi chilometri dal fronte e a fianco dei militari impegnati nelle trincee. “Quello che stiamo combattendo – dice – è una guerra di libertà e civiltà. Dove passa la Russia, la morte è totale. Sui luoghi che la Russia sta occupando, sta facendo piazza pulita di tutto. La città di Bakhmut non esiste più, è un cumulo di macerie, non c’è più nulla. È un dolore per me, come figlio del mio popolo”.