Prosegue il calo delle nascite nel 2023. Secondo i dati provvisori diffusi oggi, venerdì 29 marzo, dall’Istat sugli “Indicatori demografici” per l’anno 2023, i nati residenti in Italia sono 379mila, con un tasso di natalità pari al 6,4 per mille (era 6,7 per mille nel 2022). La diminuzione delle nascite rispetto al 2022 è di 14mila unità (-3,6%). Dal 2008, ultimo anno in cui si è assistito in Italia a un aumento delle nascite, il calo è di 197mila unità (-34,2%). La riduzione della natalità riguarda indistintamente nati di cittadinanza italiana e straniera. Questi ultimi, pari al 13,3% del totale dei neonati, sono 50mila, 3mila in meno rispetto al 2022. La diminuzione del numero dei nati residenti del 2023 è determinata sia da una importante contrazione della fecondità, sia dal calo della popolazione femminile nelle età convenzionalmente riproduttive (15-49 anni), scesa a 11,5 milioni al 1° gennaio 2024, da 13,4 milioni che era nel 2014 e 13,8 milioni nel 2004. Anche la popolazione maschile di pari età, tra l’altro, subisce lo stesso destino nel medesimo termine temporale, passando da 13,9 milioni nel 2004 a 13,5 milioni nel 2014, fino agli odierni 12 milioni di individui. Il numero medio di figli per donna scende così da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023, avvicinandosi di molto al minimo storico di 1,19 figli registrato nel lontano 1995. La contrazione del numero medio di figli per donna interessa tutto il territorio nazionale. Nel Nord diminuisce da 1,26 figli per donna nel 2022 a 1,21 nel 2023, nel Centro da 1,15 a 1,12. Il Mezzogiorno, con un tasso di fecondità totale pari a 1,24, il più alto tra le ripartizioni territoriali, registra una flessione inferiore rispetto all’1,26 del 2022. Su questi dati, che fanno pensare a un “Venerdì Santo della natalità”, abbiamo sentito Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la natalità, che promuove da diversi anni gli Stati generali della natalità.
Si aspettava dati così negativi per il 2023?
I dati diffusi oggi ci dicono che non si sta facendo nulla per contrastare l’inverno demografico. Non ci aspettavamo un aumento delle nascite rispetto agli anni scorsi, ma ci aspettavamo un dato che in un certo senso desse un segnale rispetto al passato, invece i dati che sono usciti sono addirittura peggiorativi rispetto alle attese, perché siamo a 379mila nati nel 2023. I dati sulla natalità sono insindacabili e inappellabili, non permettono di bleffare: se si mettono in campo azioni numericamente si vede una risposta, se non si fa nulla i numeri peggiorano. Sono dati che parlano da soli e che purtroppo mostrano che non si sta facendo nulla per invertire il trend negativo. Ancora dibattiamo se è una questione culturale, sociale, economica, antropologica e non facciamo nulla per arginare il fenomeno. Il risultato è che i numeri sono impietosi, il crollo delle nascite è evidente, preoccupante e tra un po’ non sarà più recuperabile.
Siamo al “Venerdì Santo della natalità” in Italia?
Se vogliamo usare questa metafora, possiamo dire che la speranza è concreta, non è l’ottimismo che ci dice: “Andrà tutto bene”.
La speranza ci deve spingere a fare qualcosa di concreto.
La fiducia nel futuro non nasce da un mantra ripetuto, ottimistico, sorridente e puerile, nasce dal fatto che sappiamo qual è la direzione che dobbiamo prendere e la prendiamo con risolutezza. Il problema è che non stiamo prendendo questa direzione, stiamo tergiversando, stiamo dando spazio, risorse, tempo e priorità ad altri temi che non sono prioritari. Voglio ricordarlo: se continua questo trend, coloro che ci rimetteranno saranno i più poveri, i più fragili. Tra un po’ arriveremo alla situazione descritta bene con la frase “homo homini lupus”. Quando, per la mancanza di nuovi nati e di conseguenza di nuovi contribuenti, crollerà il sistema sanitario, come si farà a rispondere alle esigenze dei più fragili e degli indifesi? Quando crollerà il sistema pensionistico chi ci rimetterà saranno gli ultimi. Crollerà tutto il welfare. Per questo insisto che ci sia una consapevolezza maggiore, ma che non se ne parli in termini ideologici valoriali. La natalità è una questione economico-sociale di lungo periodo, ha a che fare anche con la costruzione delle famiglie, con tutto. La domanda centrale non è: come stiamo spendendo i soldi del Pnrr? Piuttosto, è: per chi stiamo facendo tutti i sacrifici? Per chi abbiamo costruito un mondo fatto in un certo modo? Per chi abbiamo lavorato tutti questi anni per creare un welfare di un certo tipo? Per chi ha senso la solidarietà? Per chi ha senso la sussidiarietà? Se non ci saranno più nascite, viene a mancare il pilastro centrale della Dottrina sociale della Chiesa che è la persona umana. Senza persone , stiamo perdendo la speranza. Il Papa diceva che la cartina di tornasole della speranza di un popolo è la nascita di un figlio, noi questa speranza non ce l’abbiamo più.
Bisogna rimediare subito quindi…
Ormai il momento cruciale è arrivato già da tre o quattro anni, ogni anno lo ripetiamo. Ma anche se guardiamo i telegiornali, non si parla di natalità, mentre noi non dovremmo pensare ad altro.
Dobbiamo capire che se continua a calare la natalità, è dietro l’angolo un cambio epocale.
Bisogna insistere su questi temi, scavando nella roccia.
Dopo il “Venerdì Santo della natalità”, ci sarà spazio per la “risurrezione”?
Ci puoi credere nella “risurrezione della natalità” se crei le premesse, non arriveranno le cicogne come per magia. Un credente dà ragione della sua fede, non un credulone. Tra l’altro, sono diminuite anche le donne in età fertile. Matematicamente stiamo entrando in una trappola.
È il momento della responsabilità da parte di tutti…
Sì! Ed è per questo che promuoviamo gli Stati generali della natalità. L’iniziativa, lo ricordo, è nata perché alcune mamme e alcuni papà preoccupati si sono detti: ma se crolla tutto perché non ci sono nuovi nati, i nostri figli devono andare per forza all’estero per avere un futuro? E, perciò, abbiamo pensato di organizzare gli Stati generali per mettere tutti insieme in modo costruttivo. Quando parliamo di natalità, non va bene né strumentalizzare il tema riducendolo a una questione culturale, né banalizzarlo riducendolo solo a questioni economiche. Un tema che dovrebbe unirci, come la politica estera e il Made in Italy, e che invece ci divide. Quindi, noi, mamme e papà, facciamo da pungolo con momenti di riflessione, ma la politica si deve svegliare e trasformare questi momenti di riflessione – dove noi facciamo anche proposte – in concretezza.