“Ci sono morti che camminano, uomini e donne, giovani e anziani che soffrono per deficit di speranza. Una patologia assai diffusa: mancano le ragioni per sorridere. Non ci sono le energie per impegnarsi. Si è depressi”. Inizia con questa constatazione il messaggio che il vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, ha inviato – in lingua italiana e slovena – alla comunità diocesana in occasione della Pasqua.
“Viviamo in una società individualista e lamentosa”, prosegue il presule: “Triste, per la competizione continua in cui ci si svilisce in consumi effimeri. Assuefatti al tentativo di distrazione di massa, mentre fuori il mondo va a pezzi: la guerra imperversa, le coppie si dividono, l’inverno demografico avanza, la tragedia delle tante persone sole”. “Spaventati di fronte al futuro – osserva – occorre ripiegarsi su qualche successo precario: la carriera, il benessere individuale, le vacanze esotiche… Tutte soluzioni palliative, sabbie mobili che rinchiudono nella solitudine. Sempre meglio della depressione che invece inchioda e paralizza nelle nere diagnosi di tanti commentatori”.
“Gesù è il Dio che si è fatto uomo: carne, per dire vulnerabilità, finitezza. La Pasqua ce lo mostra come il calunniato, l’offeso, l’escluso, l’umiliato. L’ucciso. Ma poi si rialza. È vivo. È risorto”, ammonisce mons. Trevisi, sottolineando che “non è venuto a condannarci, ma a rialzarci. A farci risorgere a vita nuova”. “La luce della Pasqua ci consente la libertà di rialzarci”, aggiunge il vescovo: “Il Risorto che dona la sua pace, non quella del mondo che si ottiene con le bombe, autorizza a riprendere la speranza senza dover nascondere le nostre cicatrici (che ci fanno unici e veri). La sua pace è connessa al dono dello Spirito, che fa nuovi l’uomo e la donna, ognuno nella propria carne vulnerabile eppure capace di speranza”.
“A te che ti senti non compreso (dal coniuge, dai genitori, dagli amici…) dico: Rialzati. Risorgi. Rientra in te stesso. Ritorna a coltivare l’amicizia con il Dio che abita in te e ti comprende per quello che sei. Con le tue speranze, delusioni e fragilità”, esorta mons. Trevisi, che poi si rivolge a chi si sente “non amato”. “Quante depressioni, malattie alimentari, ansie senza fine… perché temiamo di non essere amati. A te dico: Rialzati. Risorgi. Riannoda i fili della tua personalissima relazione con Dio. Tu sei il figlio, la figlia amatissimo/a. E ciò ti autorizza a guardare le cose con una libertà diversa. Non devi mendicare l’amore (sei già amato/a) ma puoi tu sporgerti nell’amare – per come puoi – coloro che hai attorno, anche se segnati dal loro amore imperfetto”. Il pensiero poi va a chi si sente “fallito”. “Spesso – spiega – ci si sente inadeguati: vale per i genitori o per gli studenti… Gli altri hanno su di noi attese che generano ansie. Ti dico: Rialzati. Risorgi. Lo Spirito di Dio ti accompagna e mai ti lascia solo. Non guardare al giudizio degli altri ma fidati di Dio che ti ama, e osa la libertà del ricominciare ad impegnarti per un mondo di giustizia, di amore. Il Risorto non manca di illuminarci”. E poi c’è “l’isolato”. “Quante solitudini che l’individualismo alimenta – rileva –. A te che ti senti solo dico: Rialzati. Risorgi. Ci sono fratelli e sorelle con cui camminare e fare comunità. Anche loro feriti. Ma anche loro amati da un Dio che ridà vita, anche attraverso il tuo saluto, il tuo sorriso, la tua compagnia. Arrogati il diritto di iniziare, di prendere l’iniziativa”.
Il vescovo conclude rivelando che “l’immagine dei ‘morti che camminavano’, disperati e disposti a tutto, anche ad attraversare il panico del deserto e il rischio di annegare nel Mediterraneo, l’ho rubata a Yannik, un giovane arrivato come minore non accompagnato: era un bambino di strada in Costa d’Avorio. Ora lavora in una casa di cura, sta pagando il mutuo della sua casa, e ha due bambine”. Da qui l’invito: “Rialzati. Risorgi!”.