La Pasqua, con la Settimana Santa, “non è il segno del trionfalismo cristiano ma la proposta di sequela di un re mite che entra a Gerusalemme sul dorso di un asino. Un re che al trionfo vede sostituirsi subito il rifiuto e la condanna, soffrendo e arrivando a dire ‘Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato’.
La chiesa di Terra Santa, ma un po’ di tutto il Medio Oriente, sta vivendo un prolungato Venerdì Santo, quasi schiacciata dal peso della Croce. Ma non sarà un Venerdì Santo eterno.
Prima o poi il Venerdì Santo finirà e il sole di Pasqua sorgerà anche per la chiesa di Gerusalemme, della Terra Santa e di tutto il Medio Oriente”. Alla vigilia dei riti del Triduo pasquale che immettono direttamente alla Pasqua, a parlare al Sir è il Custode di Terra Santa, padre Francesco Patton. L’attacco terroristico di Hamas a Israele del 7 ottobre scorso e la guerra a Gaza, pesano sulle celebrazioni della Pasqua 2024 come testimonia l’assenza quasi totale di pellegrini che tradizionalmente in questo tempo sono soliti affollare i luoghi santi e riempire le stradine intorno alla basilica del Santo Sepolcro. Le restrizioni imposte da Israele e i pochi permessi rilasciati ai palestinesi della Cisgiordania terranno lontani dalla città santa anche i cristiani locali.
I numeri ‘non contano’. Tuttavia, il Custode invita tutti i fedeli a “non cadere nella tentazione di contarci perché non sono i numeri a dare significato alle celebrazioni. Ricordo quando, durante il Covid, ci siamo ritrovati in pochi a celebrare le Solennità di Natale e Pasqua. Quando celebriamo l’Eucarestia ‘nel suo nome’, sia che siamo due o tre o 5mila, Gesù si rende presente e tutto il corpo ecclesiale ne beneficia”. Ciò vuol dire che “tutti coloro che potranno partecipare ai riti pasquali rappresenteranno la Chiesa e pregheranno anche per coloro che non saranno presenti”.
Padre Patton esorta anche a riconoscere, nel momento attuale, dei chiari segni pasquali: “uno di questi è l’unità sempre maggiore tra le Chiese cristiane in Terra Santa. In nessun altro posto al mondo l’ecumenismo è così vissuto e messo in pratica come qui da noi perché maturato in una sofferenza condivisa da tutti i cristiani nel mezzo di un contesto che è sempre stato storicamente molto difficile”. Nessuna Chiesa trionfante ma una Chiesa resiliente, dice il Custode, “e questo fa parte del mistero dell’esperienza cristiana”.
“Tutti vorremmo in qualche modo bypassare il Venerdì Santo, ma il Venerdì Santo non si bypassa così come non si bypassa il Sabato Santo. Entrambi vanno vissuti e attraversati per fare poi l’esperienza della Pasqua che non è un evitare la morte e neanche un tornare indietro dalla morte. Pasqua è attraversare l’esperienza della morte insieme con Gesù, un qualcosa che non siamo in grado di immaginare e descrivere”.
Questa Pasqua, allora, per padre Patton, diventa occasione per “dare un senso anche alla sofferenza di quei milioni di cristiani nel mondo ai quali nessuno da voce e che vivono in regimi di persecuzione religiosa, di autocrazie, di finte democrazie. Noi cristiani in Terra Santa, davanti a loro, siamo perfino dei privilegiati perché gli occhi del mondo sono attenti alla nostra sofferenza. La nostra partecipazione al Venerdì Santo e alla passione di Gesù ci permette di ricordare al mondo i nostri fratelli dimenticati”.
La Pasqua di Gaza. Tra questi anche i cristiani di Gaza che, ricorda Patton, “stanno in agonia da quasi sette mesi, vivono nell’insicurezza, non hanno da mangiare, la loro unica certezza è Gesù Cristo. Questo è il messaggio che ci inviano ogni giorno da sotto le bombe, una testimonianza forte donata non in una condizione di tranquillità ma di disperazione, come quella in cui vivono anche i cristiani della Cisgiordania e di Betlemme. Le motivazioni profonde per continuare a essere cristiani, per coltivare la nostra fede, per non cadere nella spirale dell’odio, per non farci trascinare dentro la logica della vendetta, risiedono in Gesù Cristo”. Questo è, per Patton, il messaggio di Pasqua che viene da Gerusalemme: “saremo sepolti con Cristo e resusciteremo con Cristo. Egli ha vinto la morte e il male in tutte le sue forme comprese quelle che noi sperimentiamo adesso.
Se non crediamo nella potenza della passione, morte e risurrezione di Cristo non ha nessun senso per noi cristiani rimanere qui
o in posti dove essere cristiani è difficile. Tanto vale scappare ma allora vorrebbe dire che il Cristianesimo non è una proposta che cambia il mondo. L’albero della Croce, invece, ha una capacità di fruttificare così grande, così profonda, così infinita, che alla fine prevarrà su tutte le cose storte che stiamo vivendo in questo tempo”.