“La situazione è assolutamente catastrofica. Vivere in Sudan è a dir poco un incubo. I livelli record di fame, di bisogni umanitari e i segnali del conflitto non diminuiscono, e non sembrano esserci passi concreti nel prossimo futuro che indichino la possibilità di un accordo di pace duraturo”. A parlare al Sir da Port Sudan è Leni Kinzli, capo della comunicazione in Sudan per il World food programme, il Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite che interviene nelle zone di conflitto e nelle emergenze per fornire cibo e alimenti altamente nutritivi. Ad aprile sarà un anno dall’inizio del conflitto tra l’esercito regolare e i paramilitari delle Forze rapide di supporto, eredi delle famigerate milizie janjaweed che massacrarono i civili in Darfur. La guerra civile ha causato almeno 15.000 morti e quasi 8 milioni di persone in fuga dai combattimenti tra sfollati interni e rifugiati nei Paesi vicini. I combattimenti proseguono nonostante il Consiglio di sicurezza dell’Onu abbia chiesto il cessate il fuoco durante il periodo del Ramadan. Per il Wfp la sfida più grande è lo spettro di una carestia imminente. Ci sono 18 milioni di persone in condizione di insicurezza alimentare e almeno 220.000 bambini che rischiano di morire di fame. “Ci stiamo avviando verso la stagione magra che in Sudan inizia di solito a maggio, quando il cibo diventa meno disponibile e le scorte alimentari si esauriscono. Milioni di persone affrontano la fame e non sanno come rimediare il loro prossimo pasto”, racconta Kinzli.
“La situazione peggiorerà esponenzialmente – avverte -. Quest’anno il raccolto è stato significativamente inferiore alla media: la produzione di colture di base come il sorgo, il miglio, il grano si è ridotta del 40% rispetto allo scorso anno. Quindi
siamo di fronte ad una catastrofe alimentare imminente se il Wfp e altre agenzie umanitarie non saranno in grado di fornire assistenza”.
Un lavoro pericoloso tra mille difficoltà. Il Wfp sta lavorando 24 ore su 24 per fornire assistenza alimentare e nutrizionale di emergenza alle persone più colpite ma incontra grandi difficoltà nel portare aiuti. Il primo giorno di guerra tre dipendenti sono rimasti uccisi in un incidente nel Nord Darfur e hanno dovuto sospendere le operazioni per un paio di settimane. Dall’inizio del conflitto molti loro uffici e magazzini, soprattutto nella regione del Darfur, sono stati invasi e saccheggiati. Quando i combattimenti dalla capitale Khartoum si sono spostati a Wad Madani, nello Stato di Jazeera, hanno dovuto di nuove sospendere le operazioni. “Quando ci sono attacchi aerei, bombardamenti e scontri di strada in luoghi come Khartoum, Wad Madani e in tutta la regione del Darfur non possiamo operare in sicurezza – dice -. Quindi la situazione è incredibilmente volatile e imprevedibile”. Per cercare di tutelare le vite dei propri operatori il Wpf segue le disposizioni di sicurezza del sistema delle Nazioni Unite, del Dipartimento di Sicurezza e Protezione delle Nazioni Unite. Ma diversi trasportatori e autisti con cui collaborano per portare aiuti alimentari corrono gravi rischi: “Quando tentano di attraversare diversi checkpoint per cercare di fornire aiuti sulle linee del fronte ricevono minacce.
Al momento la situazione è molto pericolosa per gli operatori umanitari”.
Chi lavora sul campo incontra ostacoli continui, “dai vincoli di accesso, alla mancanza di libertà di movimento, agli impedimenti burocratici, ai lunghi processi di sdoganamento”. I combattimenti in corso rendono molto difficile dare assistenza alle persone che sono intrappolate nelle zone calde del conflitto, soprattutto a Khartoum, nel Kordofan, nel Darfur, nel Jazeera State. “Stiamo facendo tutto il possibile, ma abbiamo bisogno di una situazione più favorevole e di ampliare lo spazio umanitario per poter effettuare le consegne”.
“Vivere in Sudan è un incubo”. “Il livello di incubo impatta in modo diverso su persone diverse – prosegue l’operatrice umanitaria – ma non c’è una sola persona in questo Paese che non sia profondamente colpita dalla guerra. Milioni e milioni di persone hanno perso le loro case a Khartoum, sono fuggite lontano, e sono nuovamente sfollate quando a dicembre è scoppiato il conflitto a Wad Madani, a circa 200 chilometri a sud-est di Khartoum”. Le persone sono traumatizzate: “Hanno perso i loro ricordi e le loro vite, hanno dovuto vendere tutto ciò che possiedono per fuggire in cerca di sicurezza. Il livello di frustrazione è altissimo, non capiscono o non sono in grado di comprendere come e perché è nata questa guerra”.
Black out continui, difficile sopravvivenza e scuole chiuse da un anno. Una delle difficoltà maggiori per le persone, visti i frequenti e lunghi black out delle comunicazioni, è rimanere in contatto con i familiari che non sono ancora riusciti a mettersi in salvo. “Il problema più grande è che le risorse di tutti sono al limite, soprattutto nelle zone calde del conflitto: molte famiglie che avevano case o luoghi in cui soggiornare fuori dalle zone in cui sono in corso i combattimenti stanno ospitando molti altri familiari fuggiti”. Un altro aspetto gravissimo è che tutte le scuole sono chiuse da quasi un anno. “I genitori sono estremamente preoccupati per l’istruzione dei figli e delle generazioni future. Da quando è iniziata la guerra, gli effetti a lungo termine di questo conflitto sulla popolazione stanno appena cominciando ad emergere”.