“Il mistero di Dio si affaccia solo attraverso la porta stretta del suo visibile. Per decifrare il visibile e raggiungere in esso la soglia del mistero, il credente ha bisogno delle diverse competenze scientifiche: ha bisogno di sociologi, di linguisti, di antropologi, di esperti di discipline progettative, di politologi. Non compie una fredda consultazione, ma vi si pone dentro, le abita per identificare al loro interno le esperienze antropologiche fondamentali. Quando c’è di mezzo l’uomo e la sua libertà la teologia ha bisogno di esprimere amore appassionato, condivisione, quadro di valori orientativi, ricerca e invenzione di senso”. Lo ricorda mons. Domenico Signalini, presidente del Centro di orientamento pastorale (Cop), in un contributo pubblicato sul n. 3/2024 di “Orientamenti Pastorali”.
“In ogni modello di discernimento, il punto più delicato è il rapporto tra le verità rivelate e la vita umana, la vita della città. Immaginiamo soprattutto il mondo di oggi, quello giovanile in particolare, che ha un chiaro rigetto di tutto quanto è definito al di fuori della sua vita e delle sue esperienze. I dati da far interagire sono sempre due: il messaggio di salvezza e le domande, le situazioni, le complicazioni della vita”, prosegue il vescovo che poi spiega il “discernimento deduttivo” (ribattezzato “idraulico”) e quello “riduttivo o di adattamento” e il superamento di questi due modelli in favore di “quello che prevede una più decisa circolarità tra situazioni dell’uomo e proposta di fede, tra ricerca politica e ispirazione cristiana”. Si tratta del “discernimento circolare o ermeneutico”. “Risultato del discernimento”, continua, “è un nuovo cui la vita si apre e la Parola innerva. È una sintesi di fede e vita, non è la sola esperienza umana o una fredda enunciazione di una verità astratta, ma una nuova formulazione dell’esistente alla luce della fede, una nuova definizione di bene comune. A questo punto occorre riprendere il cammino, perché la vita cambia, si fa più esigente, si allarga a nuove prospettive, produce nuovi frutti, si ridefinisce il concetto di bene comune e ha bisogno che la Parola offra sempre maggiori profondità di ascolto e di salvezza. In questo modello il momento più delicato e più esaltante è la mutua interrogazione tra fede e vita, è analizzare le domande, farle esplodere con tutti i loro significati col metodo della scommessa e metterle di fronte alla luce della Parola che va studiata a fondo”. Dopo aver elencato “le qualità di questo discernimento” – la solitudine, il rischio, l’ampliamento del consenso e il privilegiare gli ultimi –, mons. Sigalini osserva che “se il modello è questo, diventa evidente che è un gioco di squadra, e meglio sarebbe dire che è una necessità che sia custodito gelosamente come qualità di una comunità cristiana, che il ruolo del laico in questo campo è assolutamente indispensabile, che essere laici, magari associati e con una visione di mondo, di vita, con tirocini di servizio alla realtà e dimestichezza con la Parola e il magistero, è una condizione privilegiata per la ricerca del bene comune e diventa un contributo necessario alle varie operazioni che rendono praticabile il discernimento”. “Per esercitare questo modello di discernimento – ammonisce – la comunità cristiana non si può limitare a seguire dall’esterno il difficile cammino della necessaria mutua interrogazione tra valori e storia ma svolgere una duplice funzione positiva: deve essere un luogo di formazione al senso sociale e aiutare a comprendere la dinamica della società nel suo sviluppo storico; deve diventare, e rimanere, un luogo di confronto fra i credenti impegnati a vario titolo nel sociale, sia offrendo loro adeguati strumenti di conoscenza, sia favorendo la crescita di una ‘spiritualità dell’impegno” che eviti la deriva pragmatistica che ricorrentemente minaccia la politica, sia infine fornendo a quanti hanno diversi orientamenti politico-partitici occasioni ‘neutrali’”.