Con l’annuncio della ricandidatura di Ursula von der Leyen per un secondo mandato alla guida della Commissione europea, si è aperta questa settimana la corsa ai cosiddetti “top job”, i “posti di comando” dell’Unione europea.
Si tratta, in particolare dei presidenti di Consiglio europeo (ad oggi il belga Charles Michel), Commissione (appunto la tedesca Von der Leyen), Europarlamento (la maltese Roberta Metsola), Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune (lo spagnolo Josep Borrell). Nel “gioco” degli incarichi figura inoltre il presidente della Banca centrale europea (Christine Lagarde, francese). Ruoli che peraltro hanno differente durata nel tempo. Ritenuti di minor rilevanza sono invece altri ruoli come i presidenti del Comitato economico e sociale e del Comitato delle Regioni.
La procedura per ognuna di queste cariche è particolare.
Soffermandoci sulle prime tre si può osservare che il presidente del Parlamento europeo viene eletto dagli eurodeputati alla prima riunione (sessione plenaria) dopo le elezioni. Il presidente del Consiglio europeo è scelto dai 27 capi di Stato e di governo che si ritrovano dopo le elezioni dell’Euroassemblea. Gli stessi leader nazionali indicano un candidato alla presidenza della Commissione europea tenendo conto dell’esito delle elezioni parlamentari. In questo caso la scelta dovrebbe ricadere – proprio per rispetto del voto dei cittadini – sullo Spitzenkandidat (capolista) del gruppo politico che ha raccolto più voti in Europa. Il presidente indicato dal Consiglio per la guida della Commissione dovrà poi presentarsi al Parlamento europeo illustrando il suo programma e raccogliere attorno a sé la maggioranza degli eurodeputati.
Più complessa la costruzione del collegio dei commissari: indicati ciascuno dal governo del proprio Paese, dovranno superare le audizioni (sorta di esami) del Parlamento europeo e a loro volta raccoglierne il voto favorevole.
Da questa pur sommaria indicazione delle procedure per identificare i “top job” – per i quali si considera in genere anche un equilibrio tra forze politiche, l’equilibro tra Paesi grandi e piccoli, e naturalmente anche l’equilibrio di genere – ci si rende conto quanto sia complessa la procedura che prenderà avvio dopo il 9 giugno, alla luce dei risultati del voto popolare.
Anche per tale ragione si smentisce l’ipotesi – sostenuta spesso da voci populiste – secondo cui tali ruoli europei non godano di “legittimità democratica”. Il Parlamento europeo è in fatti eletto direttamente dai cittadini; in Consiglio siedono i rappresentanti dei governi, espressione degli elettori; la Commissione passa al vaglio sia del Parlamento che del Consiglio.
Da ciò si deduce un altro, essenziale punto fermo: ciascun cittadino con il voto alle prossime elezioni europee può influire su questo processo e, più in genere, sull’orientamento politico – più o meno “europeista” – delle istituzioni Ue. Da qui il valore di ogni singolo voto. Non a caso la campagna istituzionale per invitare alle urne gli europei è “Usa il tuo voto”. Uno slogan davvero appropriato.