“La presenza della Chiesa anche nelle piazze dello spaccio è importante perché così può esprimere e difendere la sua cultura per la vita. La nostra vita ha un valore immenso, per questo chiediamo ai giovani di non ‘affogarsi’ nell’alcol e nelle droghe. La droga non ha mai reso felice nessuno. La droga è l’eucarestia di Satana”.
A parlare al Sir è don Antonio Coluccia, vocazionista, fondatore dell’Opera san Giustino, che vive sotto scorta per il suo forte impegno contro lo spaccio di droga a Roma. Sono note le sue ‘passeggiate’ nelle piazze dello spaccio romano, veri e propri fortini controllati dalle cosche mafiose, che gli hanno provocato minacce, tentativi di aggressione. Armato di un fischietto, usato per ‘disturbare’ gli spacciatori e le ‘vedette’, di un megafono per recitare il Rosario, il sacerdote antimafia, 47 anni di origini pugliesi, attraversa dal 2001, quando giunge nella Capitale, le principali zone di spaccio romano come Tor bella monaca, Grottarossa, Quarticciolo e San Basilio. Proprio a San Basilio, in una struttura confiscata alla mafia e assegnata all’Opera san Giustino, don Antonio ha aperto una palestra di pugilato che gestisce insieme alla Polizia e ad alcuni volontari, frequentata da molti giovani, alcuni dei quali strappati alla dipendenza.
“Fate sport” ripete agli studenti dell’Istituto di Istruzione Superiore “Braschi-Quarenghi” di Subiaco (Roma) durante un incontro svoltosi ieri, 15 febbraio, per iniziativa della Prima Commissione regionale del Lazio, presieduta dal consigliere Flavio Cera. “Fate sport, innamoratevi della vita, ma della ‘vita bella’, ricca di Bellezza, non della ‘bella vita’ che spesso è quella che si vive anche con i proventi della droga che uccide. Davanti alla piaga dello spaccio di droga non possiamo tacere”. Mostra un pallone, sembra un altro richiamo allo sport, ma non è così, almeno all’inizio. “Nelle zone di spaccio – spiega – un pallone può nascondere fino a 50 ‘pezzi’ di cocaina, che possono far guadagnare illegalmente migliaia di euro al giorno. Per questo quando vado nelle piazze dico agli spacciatori di prendere questo pallone sgonfio di droga ma gonfio di vita”. Nel percorrere le strade della droga don Antonio è guidato dalla sua esperienza, vissuta a metà degli anni ’90, in una comunità di bambini disabili e svantaggiati. È anche per questo che il modo con cui il sacerdote incontra i giovani caduti nel tunnel della tossicodipendenza è quello della carità: “in queste piazze vedo persone che non hanno più la voglia di sognare e di vivere, sono come ‘zombie’ prede del demone della droga. Per loro dobbiamo costruire un’alternativa, ricca di valori, di normalità, non devono diventare schiavi”. “Siamo entrati in Quaresima – aggiunge – e Papa Francesco ha diffuso un messaggio importante che dice che, attraverso il deserto, Dio ci guida alla libertà. Ma ci avverte anche che bisogna fare attenzione al Faraone che aveva posto in schiavitù il popolo di Israele. La droga e lo spaccio sono la schiavitù di oggi. Dobbiamo spaccare queste catene che tengono imprigionate tante persone”.
Ma come?
“Stare in queste piazze, lavorare per la vita, per la cultura, l’educazione, l’istruzione, per la bellezza. Dobbiamo portare bellezza in queste piazze. Questo in concreto significa anche tornare a illuminarle e abbellirle, non lasciarle nel degrado. Non possiamo restare in silenzio.
La Chiesa non può restare in silenzio.
L’annuncio di Cristo risorto implica la denuncia dei luoghi e dei peccati dove si celebra la cultura della morte. Essere presenti può diventare la speranza per tanti ragazzi. Come quello che poche notti fa mi si è avvicinato per chiedermi aiuto. Se non fossi stato lì, quel giovane non si sarebbe mai avvicinato. Così come non avrei mai incontrato quel bambino di soli 12 anni che spacciava in piena notte in una di queste zone perché non aveva di che vivere, con il padre in carcere e la madre prostituta.
Preti, religiosi, religiose, battezzati, dobbiamo tornare tutti ad abitare questi territori e testimoniare che il cambiamento è possibile.
In fondo il messaggio della Quaresima è proprio questo: il cambiamento e la conversione possono avvenire”.
Per presidiare le zone di spaccio, controllate dalla criminalità, servirebbe una maggiore presenza, anche militare, dello Stato…
Le Istituzioni ci devono essere e soprattutto in quei territori dove è necessario limitare l’azione dei clan e rinvigorire quella della società civile e della gente onesta. Questi territori devono tornare a profumare di Costituzione e di Vangelo. Il Papa ci chiede di essere una Chiesa in uscita. Non esiste Vangelo senza rischio e non esiste rischio senza Vangelo.
Lei è stato più volte minacciato, gira con la scorta, ha subìto aggressioni. Nonostante ciò, continua ad andare nelle piazze dello spaccio. Si è mai sentito solo in questa missione?
Mi affido a Dio, il mio ‘capo-cantiere’. Credo in lui e lui mi dà la forza nella Messa. Non do ascolto ai cosiddetti ‘profeti di sventura’ quando dicono ‘ma chi te lo fa fare? Perché va lì?’ In questi anni ho visto morti per overdose nelle strade, ho conosciuto mamme che hanno perso i propri figli. Ho visto grandi ingiustizie.
L’antidoto contro le mafie è la legalità, la cultura e la Bellezza.
I giovani sembrano affascinati da questo mondo criminale, dalla violenza, pensiamo anche alle baby gang…
Dobbiamo essere alternativi, dire che un cambiamento è possibile e testimoniarlo con la nostra presenza anche nelle piazze dello spaccio. Esserci, anche senza dire nulla, diventa un annuncio. C’è chi si avvicina, c’è chi ci minaccia. Ma non siamo soli. Anche Gesù, nella sua missione, ha subìto dei rischi, è stato minacciato. Ma qual è stato il suo atteggiamento? Non violento. Lo stesso che dobbiamo avere noi suoi fedeli. Dobbiamo assumerci delle responsabilità. In quanto uomini e donne di chiesa, siamo cultori della vita, dobbiamo custodirla e difenderla. E soprattutto difendere i territori, perché il territorio è il luogo dove Cristo ci indica la strada.
C’è un appello che vuole lanciare a quei giovani che intendono impegnarsi nel campo della legalità?
Non voltate lo sguardo da un’altra parte quando incontrate persone che sono in difficoltà a causa di dipendenza da droghe e alcool.
Abbiate il coraggio di denunciare le ingiustizie. Non possiamo tacere davanti alla piaga della droga e della illegalità.
Lo ripeto: portiamo la cultura della bellezza nelle piazze dello spaccio. Siate a favore della ‘vita bella’ e non della ‘bella vita’ alimentata dalla droga che procura solo morte e schiavitù.