“Spero e voglio credere che quello che è successo a Büyükdere sia un atto isolato e che non abbia i seguiti”. “Anche perché come ci insegna il Santo Padre ‘la guerra è una sconfitta’ e chi fa terrorismo punta a spaventarci e a paralizzarci”. A parlare di futuro in terra turca è mons. Antuan Ilgit S.I., vescovo titolare di Tubernuca e Vescovo ausiliare del Vicariato apostolico dell’Anatolia. Al Sir, mons. Ilgit – primo vescovo di origine turca – racconta il clima che si respira nella comunità cattolica del Paese dopo l’attacco di domenica scorsa, 28 gennaio, alla chiesa della Natività di Nostra Signora a Büyükdere, nel distretto di Sariyer a nord di Istanbul. Giovedì scorso è stata celebrata una Messa di riparazione con la consacrazione di un nuovo altare e preghiere per Tuncer Cihal, l’uomo ucciso durante l’attacco. La liturgia eucaristica è stata presieduta dall’arcivescovo Marek Solczinsky, nunzio apostolico in Turchia e dal vescovo Massimiliano Palinuro, Vicario apostolico di Istanbul per i cattolici di rito latino.
“Quando c’è stato l’attacco alla chiesa di Büyükdere – racconta mons. Ilgit – era a Tarso dove avevo accompagnato circa 70 giovani, provenienti da tutte le parti del nostro Vicariato, riuniti per il consueto Incontro dei giovani del Vicariato”. Dopo la Messa nella Chiesa di San Paolo, quando il gruppo è uscito, “mi aspettavano dei poliziotti in borgese i quali mi hanno informato sull’accaduto”. Da quel momento la polizia non li ha mai abbandonati. “Ci hanno accompagnati con molta discrezione e rispetto”, racconta il vescovo. “Le notizie da Istanbul – ricorda – non erano ancora molto chiare e io dovevo prendere una decisione: proseguire con il programma o tornare indietro. Ho deciso di proseguire, altrimenti, saremmo caduti nella trappola dei terroristi: appunto quella di terrorizzarci anche a distanza di 1000 chilometri da Istanbul”. Sta qui il punto da cui la piccolissima comunità cattolica in Turchia vuole ripartire. Mons. Ilgit spiega: “Cerco sempre di insegnare ai nostri giovani di non mettersi mai dalla parte di uno o dell’altro ma di posizionarsi solo dalla parte della pace. Anche perché come ci insegna il Santo Padre “la guerra è una sconfitta” e chi fa il terrorismo punta a spaventarci e a paralizzarci”. La maggior parte dei giovani che il gesuita segue, sono terremotati e stanno tuttora lottando per il superamento dei traumi subiti. “Ora non voglio che subiscano anche il terrore”, dice il gesuita che poi aggiunge: “Leggendo i giornali, seguendo i media vedo dichiarazioni e affermazioni frettolose che a buon mercato fanno dei collegamenti con una presunta islamofobia che crescerebbe in Europa, la cristianofobia che crescerebbe in Turchia e le conseguenze dei conflitti che ci circondano e così via. Però non dimentichiamo anche che in questo paese, c’è comunque e contro tutto, una bella convivenza. Le famiglie stanno sperimentando un ottimo rapporto di buon vicinato, e nel terremoto, di cui stiamo per vivere il primo anniversario, abbiamo tutti sperimentato ancora una volta una bella collaborazione e un’accoglienza reciproca. Usare questi termini nelle analisi che si fanno in un modo speculativo vorrebbe dire ignorare tutto questo; non dovremmo mai fare delle generalizzazioni di questo tipo”.
“Io qui nella mia terra non respiro quel clima di odio crescente di cui si parla sui media”, prosegue padre Ilgit.
“Certo stiamo aspettando dei progressi nel cercare e trovare insieme qualche forma efficace di riconoscimento dello status giuridico della Chiesa cattolica, qualche agevolazione nella progettazione e nella ricostruzione delle nostre chiese crollate nel terremoto, il superamento di una discriminazione di fondo nel fare carriera statale dei nostri giovani (mi ha dato molta speranza la nomina a sottoprefetto di un giovane armeno fatta dal nostro Presidente della Repubblica), ecc. Dall’altra parte siamo riconoscenti per i permessi per le celebrazioni cristiane nelle chiese-musei in occasione delle grandi feste che ora ci vengono concessi con più facilità, l’impegno delle autorità per la nostra sicurezza”. Il vescovo racconta che subito dopo l’attacco terroristico tornando in sede, ha avuto la visita del Sottoprefetto e del Questore, i quali “con grande disponibilità hanno voluto discutere insieme le eventuali misure cautelari da prendere”. “Ciò ci dice che noi tutti dobbiamo battere per il dialogo, per l’ascolto, il rispetto reciproco, e dobbiamo impegnarci per la pace iniziando dalle nostre famiglie, dalle nostre comunità”. “La pace è un vero dono, è un dono del Signore e per questo dobbiamo continuare a pregare per la pace e per l’unità; pregare e impegnarci insieme. Questa è la testimonianza che ci viene chiesta in un paese che viene considerato, a ragione, la “Terra santa della Chiesa” (Mons. Padovese) nella quale “i discepoli di Gesù per la prima volta furono chiamati ‘cristiani’” (Atti 11,26).