“Ogni volta che in Italia ci troviamo di fronte a riforme che riguardano il benessere dei cittadini corriamo il rischio di avere a che fare con un Governo che si chiude a riccio piuttosto che aprire tavoli di confronto. Sulla non autosufficienza si poteva davvero cambiare il passo, considerato che la riforma è attesa da decenni e che come Paese siamo in ritardo rispetto, per esempio, a Francia, Spagna e Germania. Se ci fosse una maggiore disponibilità al dialogo, probabilmente, insieme potremmo costruire un quadro, un’idea di riforma che serve davvero all’Italia”. Questo il commento che Antonio Russo, vicepresidente nazionale delle Acli con delega al Welfare e alla Coesione territoriale, consegna al Sir a poche ore dall’approvazione in Consiglio dei ministri del decreto legislativo attuativo della legge 33/2023 recante “Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane”.
C’era grande attesa per i contenuti del provvedimento. Quali sono le sue prime valutazioni?
In attesa di poter leggere e approfondire l’articolato mi lasci dire che
di tutto abbiamo bisogno salvo che sulla non autosufficienza si proceda ad una semplice manutenzione dell’attuale situazione con una revisione minima degli aspetti in questione.
La legge 33/2023 individua la necessità di una riforma articolata. Su questa legge noi abbiamo lavorato molto affinché fosse recepita dal Governo Draghi, dando vita al Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza che ha messo in collegamento 57 tra realtà della società civile coinvolte quotidianamente nell’assistenza e nella tutela degli anziani non autosufficienti. Il quadro di riforma che avevamo elaborato è stato recepito dal Governo Draghi che l’ha consegnato come un lascito al Governo Meloni. L’Esecutivo in carica l’ha assunta pressoché uguale a com’era stata proposta. Ritenevamo, e riteniamo ancora, che quell’impianto sia giusto. Restava aperto il nodo dei decreti, un aspetto tutt’altro che marginale considerato che la realizzazione della legge passa da qui. Nello scriverli, si può realizzare una buona riforma o si può persino snaturare l’idea stessa di partenza deragliando rispetto a quanto il legislatore ha individuato nella legge delega.
Ci ricorda, in sintesi, cosa prevede la legge 33?
Gli obiettivi di fondo sono tre: la costruzione di un settore unitario per superare la frammentazione che noi sappiamo esserci per le misure pubbliche introducendo quello che viene definito Ssna (Sistema nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente); la definizione di nuovi modelli d’intervento, affrontando il discorso dei servizi domiciliari – ai quali noi abbiamo prestato molta attenzione e per i quali, in qualche modo, anche legislatore aveva lasciato intendere fossero importanti –, servizi residenziali e indennità di accompagnamento; infine, l’ampliamento dell’offerta, estendendo la gamma dei servizi alla persona grazie anche al reperimento di fondi addizionali che possono secondo noi arrivare dalle politiche territoriali, cioè Regioni e Comuni. E questo è il primo nodo.
In che senso?
Quelle risorse non ci sono,
non c’è un solo euro su questa riforma.
Non è un mio parere, questo direi che è abbastanza chiaro anche nella Legge di bilancio nella quale non è stato individuato nulla affinché questa riforma possa avere quelle gambe necessarie perché si metta in moto. Non l’abbiamo scoperto l’altro giorno che l’Italia è il Paese più vecchio in Europa, con 8 milioni di anziani di cui l’11,7% è già oggi over 75 e tra i quali quelli non autosufficienti sono 3,8 milioni. Nel 2030 vivremo in un Paese nel quale un anziano su 12 sarà non autosufficiente. E già oggi, tra anziani, familiari, caregiver ed operatori del settore sono 10 milioni le persone interessate dalla riforma, attesa da oltre un trentennio.
Il decreto varato ieri dal Governo vi ha quindi delusi?
Non solo, stando ai testi che abbiamo potuto leggere ci pare di cogliere l’intenzione del legislatore a correggere se non addirittura a riscrivere la legge 33. Ma così non va bene.
Ci faccia un esempio…
La legge 33 prevedeva una programmazione condivisa tra gli interventi a titolarità pubblica, cioè tra quelli sociali e quelli sanitari. Ma
nel decreto non c’è l’introduzione di un modello di assistenza domiciliare specifico per la condizione di non autosufficienza dell’anziano, che per noi è il cuore della riforma.
C’è solo un approccio sociale e non sociosanitario. Si prevede un generico coordinamento tra interventi sociali e sanitari ma manca la definizione di qualcosa di strutturato. E questa è la riproposizione di una vecchia storia che conosciamo molto bene,
un approccio alla questione della non autosufficienza che sappiamo non funziona proprio perché non prevede la compartecipazione dei due livelli, sociale e sanitario.
Altro che non vi soddisfa?
Ci aspettavamo un’accelerazione riguardo gli strumenti di valutazione della condizione degli anziani. È rimasta la coerenza con l’indicazione che noi avevamo dato, ma nel decreto non si fanno passi avanti. E poi c’è il tema dell’assistenza agli anziani non autosufficienti e dei servizi domiciliari loro rivolti. Non si chiarisce chi farà l’assistenza agli anziani non autosufficienti presso il proprio domicilio perché, è bene ricordarlo,
quello della domiciliarietà è l’aspetto centrale di tutta la riforma.
Con il decreto viene introdotta la “prestazione universale” in favore di chi ha più di 80 anni e versa in condizioni di non autosufficienza indigente e gravissima…
Integra l’indennità di accompagnamento, ammonta a 1.000 euro in più ed è prevista solo per chi ha un Isee non superiore a 6mila euro. Ma se non hai 80 anni o se sei autosufficiente il problema te lo devi risolvere da solo. Le questioni non chiarite sono diverse: dove viene specificato il livello di bisogno? Chi giudicherà se la condizione è gravissima? Ma
la cosa che più preoccupa è che la “prestazione universale” viene introdotta in via sperimentale
dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2026. Per esperienza vissuta in questi anni, con Governi di diversi colori, sappiamo che le sperimentazioni non funzionano. A maggior ragione rispetto a problemi strutturali.
Per l’urgenza data dai numeri, non siamo nelle condizioni di poterci permettere di muoverci sperimentando, navigando a vista. Su questa prestazione universale per gli anziani restano tutti i nostri dubbi.
Che cosa auspica possa succedere perché si dia vita ad una riforma efficace?
Non vorremmo che sulla non autosufficienza si addivenisse ad una riforma gattopardesca. Perché veramente il nostro Paese non ne ha bisogno, ed essendo tra quelli più vecchi al mondo non merita che gli venga raccontata una riforma che non c’è. Per cui, anche per non disperdere la proposta costante e la spinta che arriva da quelle famiglie e organizzazioni sociali che quotidianamente hanno a che fare con anziani non autosufficienti,
faremo di tutto per allontanare la possibilità che la legge 33 si traduca soltanto in una qualche operazione di facciata,
una mano di vernice che sembra rinnovare ma che in realtà non cambia le cose.