Credenti e uniti

Tema della Settimana di preghiere per l'unità dei cristiani, quest'anno, il grande comandamento dell'Amore. Nella carità, almeno, dovremmo sentirci ed essere uniti. Già nella preghiera un po' meno, purtroppo, con differenze accentuate non tanto nei riti, ma nella fede che li sorregge e nei ministeri che la esplicano.

Non saprei quanti cattolici italiani (preti compresi) si siano ricordati che mercoledì scorso 17 gennaio ricorreva la 35ª Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra ebrei e cattolici – quest’anno sulla frase biblica “Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?” (Ez. 37, 1-14), ponendo al centro il tema della “speranza”, nonostante la situazione drammatica in Terra Santa, anzi ora ancor più attuale. La “Giornata” istituita dai vescovi italiani sull’onda delle aperture conciliari e sulla scorta della storica visita di Giovanni Paolo II, quasi quarant’anni fa (13 aprile 1986), alla Sinagoga di Roma, dove si recò a incontrare quelli che egli definì “nostri fratelli maggiori”, dovrebbe suscitare in tutti noi la consapevolezza e la responsabilità di un dialogo sincero e costruttivo, finalizzato alla comprensione reciproca e alla comune costruzione della pace. Pochi forse anche nella nostra diocesi, dove per altro non siamo sollecitati da presenze significative e organizzate di tali “fratelli maggiori”, ma comunque tenuti a non glissare su questo appello che riguarda tutti. Non a caso i vescovi collocarono questa giornata a ridosso della Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani che si celebra nel mondo ogni anno dal 18 al 25 gennaio: ad indicare lo stretto legame, non solo biblico, tra le due antiche “famiglie” religiose. Forse passata in sordina, la giornata del 17, anche per le circostanze drammatiche che si vivono in Terra Santa che possono provocare una certa ritrosia nell’accostare quel “popolo” che ora è visto come “persecutore” nonostante il progrom subito nei secoli e accentuato in quel fatidico 7 ottobre, dimenticato o addirittura giustificato da molti. Il rigurgito di antisemitismo, a quanto pare mai sopito, dovrebbe invece risvegliarci per comprendere che in questo sentimento strisciante si riscontra quasi l’archetipo del razzismo, purtroppo mai estinto. Un motivo in più per risvegliare la nostra responsabilità (o corresponsabilità) per conculcarlo. Non meno importante la “Settimana” che si sta svolgendo per invocare l’unità tra i discepoli di Cristo, da lui stesso richiesta, ma disattesa nei secoli. A tema quest’anno il grande comandamento dell’Amore. Nella carità, almeno, dovremmo sentirci ed essere uniti. Già nella preghiera un po’ meno, purtroppo, con differenze accentuate non tanto nei riti, ma nella fede che li sorregge e nei ministeri che la esplicano (ancora problematica, ad esempio, è l’intercomunione tra le diverse confessioni cristiane). Per non parlare delle tensioni interne all’ortodossia, accentuate dall’infausta e tragica aggressione di Mosca in Ucraina. Eppure l’unità è fondamentale e indispensabile. I testi della Settimana sono stati preparati quest’anno dai cristiani di varie confessioni del Burkina Faso, dove essi vivono una situazione di pericolo e di persecuzione. Emblematica di tante altre situazioni simili: sono quasi 350 milioni i cristiani “perseguitati” nel mondo, con picchi maggiori in Nicaragua e in Corea del Nord, ma con evidenti rischi nei paesi arabi, dove non vige certo la più elementare “reciprocità”, nell’Africa tormentata dagli estremismi, o anche nella stessa America Latina dove la numerosa presenza di discepoli di Cristo deve fare i conti con tensioni e ingiustizie di ogni genere. Meno eclatante è l’emarginazione di persone e valori cristiani verso cui si tenderebbe nei nostri Paesi “democratici”. Ma proprio queste situazioni dovrebbero spingerci a una maggiore unità per testimoniare insieme l’amore, la giustizia e la pace, non certo come arroccamento o per contrapposizione, che sarebbe contraddittoria, ma spinti da un’esigenza intrinseca dell’essere “Chiesa”. A partire dalla stessa Chiesa cattolica, al cui interno, ahimè!, non mancano divisioni. Discepoli di Cristo in tempi difficili (come tanti nella storia), oggi.

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