(da Kyiv) Le informazioni viaggiano via Telegram. Oltre alle app che avvisano degli allarmi, ci sono canali come “Oficiinyi Radar” o “Kyiv Info” che danno in tempo reale notizie sui lanci dei droni e dei missili. A seconda da dove arrivano, si capisce cosa fare e dove andare. I missili sono gli attacchi più temuti: arrivano improvvisamente e solo dopo scatta l’allarme. Tra amici e colleghi si parla di questo. E’ Olga, 36 anni, volontaria della Caritas-Spes a spiegare come funziona, mostrando tutti i canali sul cellulare. “Io abito al 14° piano – racconta – ed è importante per me capire se restare a casa o scendere al primo piano”. Il 25 novembre scorso, il giorno dell’attacco più massiccio su Kyiv, le esplosioni hanno fatto vibrare forte i vetri delle finestre. “Tremava tutto, i muri, gli specchi. Siamo scesi al primo piano dove era sicuramente più sicuro stare”. Ma i lanci dei droni Shahed continuano. Tutti i giorni. Anche questa notte, diversi droni russi hanno attaccato la capitale ucraina, altri due attacchi hanno preso di mira la città occidentale di Kharkiv e nove persone sono rimaste ferite in bombardamenti su Kherson nel sud dell’Ucraina. Lo hanno annunciato le autorità ucraine. “Nella mia casa – prosegue Olga – il bagno è il posto più sicuro. Quando sento le esplosioni, il cuore comincia a battere forte, poi fai fatica a riprendere sonno”. E’ una situazione di allerta continua a cui gli abitanti della città di Kyiv in qualche modo si sono abituati. C’è addirittura qualcuno che ha uno zaino preparato la sera e sempre pronto in caso di allarme con dentro documenti e le cose più importanti. “Siamo consapevoli – prosegue Olga – che possiamo perdere tutto da un istante all’altro. La famiglia, la casa, la vita. Ma questo ci porta a vivere ogni momento con intensità, ad essere felici delle cose, anche piccole, che abbiamo, ad apprezzare ciò che prima davamo per scontato”. E alla domanda se ha mai pensato di andare via, Olga risponde decisa: “meglio stare qui piuttosto che seguire le notizie online”.
Anna di anni ne ha 24 ed ha frequentato la facoltà di legge all’Università di Mariupol. “Era una città bellissima, moderna e sviluppata”. La guerra ha lasciato anche qui segni di morte e distruzione. Tutti gli amici diAnna sono andati via da Mariupol. Un suo compagno di scuola è morto insieme a tutta la sua famiglia sotto le macerie della loro casa. Alcuni dei suoi amici si trovano a combattere sul fronte. La guerra, insomma, ha travolto le loro vite. “Non penso mai a come è cambiata la mia vita o a come sarebbe stata se non ci fossimo trovati in questa situazione. Sono pensieri inutili che non portano a niente”, dice la ragazza. “Avrò sicuramente bisogno di tempo per sanare il trauma della guerra e capire i miei sentimenti e le mie emozioni ma penso piuttosto a come vivere la vita oggi, sapendo che forse non avrò domani per farlo”.
Tetiana Shapoval è la sorella di Oleksandr Shapoval, primo ballerino presso l’Opera Nazionale Ucraina, dove si è esibito per 28 stagioni. Si era offerto volontario nei ranghi della difesa territoriale di Kyiv fin dai primi giorni dell’invasione russa su vasta scala. Poi, era entrato a far parte delle forze armate ucraine. Il 12 settembre 2022, Shapoval è morto in una battaglia vicino a Mayorsk, nella regione di Donetsk. Ha lasciato moglie e due figli. Il suo funerale si è svolto con tutti gli onori al Teatro dell’Opera di Kyiv. “Questo dolore – dice oggi Tetiana – è una ferita che non guarisce. Ma in Ucraina, ogni giorno muore qualcuno. Sul fronte sono andati a combattere i nostri uomini e giovani migliori, quella generazione che può ricostruire il nostro Paese”. “Se mi chiedete se sono pronta a perdonare, rispondo che no, non li perdono. Devono prima chiedere scusa per poter dare il mio perdono e ci vorrà tempo per sanare questa ferita. Ma non provo odio”, confida Tetiana, “Dio mi ha dato tanto amore che oggi non posso provare questo sentimento. Capisco che chi ha ucciso mio fratello, non ha avuto possibilità di scelta, si è formato in una cultura e in un sistema di totalitarismo che non lascia spazio a libertà. Non è quindi odio. Provo piuttosto un profondo dispiacere per queste persone”.