Niente da fare, “vorrei ma non voglio”. Il Cile non riesce a uscire dalla situazione di incertezza istituzionale e politica che si è venuta a creare dopo la protesta del 2019 e l’apertura di una fase costituente, che sembrava promettente e si è, invece, rivelata un rebus senza soluzione. Il 25 ottobre 2020, tre anni fa, il 78% dei votanti aveva espresso la propria richiesta di scrivere una nuova Costituzione. Ma gli stessi elettori continuano a bocciare qualsiasi proposta di testo costituzionale che sia destinato a mandare in soffitta la Carta approvata nel 1980 (e, per la verità, molte volte modificata), quando era ancora al potere in Cile il generale Augusto Pinochet. Se il 4 settembre dell’anno scorso a essere bocciata era stata la proposta emersa dalla Convenzione nazionale, piuttosto sbilanciata a sinistra, nel plebiscito che si è tenuto ieri gli elettori hanno rigettato anche il testo scritto negli ultimi mesi dal Consiglio costituente, decisamente egemonizzato dalla destra di Juan Antonio Kast, leader ultraconservatore e maggiore oppositore del presidente Gabriel Boric. Il distacco tra il No e il Sì è di circa dieci punti percentuali: 55, 75% contro 44,25%, in tutto un milione e 400 mila voti. Un risultato che è indicativo, pur con le sue indubbie specificità, del livello di crisi in cui versa la democrazia a tutte le latitudini.
Una situazione politica “paradossale”. La situazione venutasi a creare era, di per sé stessa paradossale. Proprio a coloro che avevano contestato la scelta di scrivere una nuova Carta, è toccato negli ultimi mesi formulare una bozza del nuovo testo, che era stato approvato a maggioranza, nel Consiglio costituente: 33 voti contro 17.
Tra i 216 articoli (forse troppi e troppo dettagliati, come del resto un anno fa) della Costituzione respinta ieri, ce n’erano alcuni di controversi, che inasprivano il trattamento della migrazione irregolare o autorizzavano le autorità a dichiarare più rapidamente gli stati di emergenza, in base ai quali i diritti potevano essere limitati. Con questa Costituzione, d’altra parte, sarebbe stato maggiormente tutelato il diritto alla vita fin da concepimento e sarebbe stato più difficile procedere con una legalizzazione completa dell’aborto. Sparivano, inoltre, molte norme a favore dell’ambiente e dei beni pubblici, che costituivano, invece, una parte importante della precedente proposta. E rimaneva in gran parte irrisolta la questione indigena, mentre il testo di un anno fa parlava esplicitamente di “Stato plurinazionale”.
Vescovi: “Cercare accordi ampi, a beneficio dei più poveri”. Il Comitato permanente della Conferenza episcopale cilena (Cech), in tarda serata, ha diffuso una nota per invitare ad accettare la scelta, frutto di un processo “pienamente democratico”. E per invitare a voltare pagina, cercando finalmente accordi ampi. “Il Paese – si legge nella nota – ha subito due processi costituzionali in un breve periodo di tempo che si sono conclusi con il rifiuto del testo proposto. Crediamo che la maggior parte dei cileni apprezzi gli accordi e l’ampio consenso nelle questioni sociali e politiche e si aspetta che i loro leader procedano su questa strada. Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da polarizzazione e frammentazione, che hanno portato la popolazione ad allontanarsi e a svalutare la vita politica, il che non fa bene alla nostra democrazia”. Per questo motivo, i vescovi ribadiscono quanto scritto lo scorso 16 novembre: “Dobbiamo essere più determinati ad andare avanti insieme, affrontando con urgenza le urgenti sfide sociali e politiche che il Cile deve affrontare, al di là delle nostre legittime differenze e pluralità di vedute”. Per i vescovi, “tra le sfide che il Paese deve affrontare con maggiore urgenza ci sono senza dubbio i temi della sicurezza, della salute, delle pensioni, della crescita economica, dell’istruzione e di tutto ciò che contribuisce a creare un clima di maggiore pace e relazioni più eque tra di noi. Di fronte a queste sfide, la risposta dei leader politici non può essere quella di vivere in contrasto tra loro, ma di raggiungere accordi che vadano a beneficio di tutti, soprattutto dei più poveri e dei più trascurati”.
Il consenso varia in modo rapidissimo. Resta il fatto che anche il secondo tentativo di scrivere una nuova Costituzione è fallito, anche se in modo meno netto rispetto al precedente plebiscito. “Comunque fossero andate le cose, sarebbe stato un problema – spiega al Sir padre Jorge Costadoat, direttore del Centro teologico Manuel Larraín, gesuita e teologo e attento osservatore del mondo sociale e culturale cileno -. Ma ci sono anche aspetti positivi, a partire dal fatto che il Cile continua a cercare una soluzione ai suoi problemi e a una crisi molto grande, seppure in modo confuso, all’interno della democrazia. Quello sottoposto agli elettori era, senza dubbio, un testo orientato a destra, ma è vero, al tempo stesso, che la Carta resta quella dei tempi di Pinochet”.
Secondo padre Costadoat, quello che emerge è un “paradosso politico”, che è “frutto di un’oscillazione molto grande a livello di consenso elettorale. Spesso si parla di ‘polarizzazione’ nella politica attuale, qui abbiamo un Paese che si polarizza e depolarizza a fasi alterne, molto rapide”.
Malessere sociale generalizzato. Davvero impressionante la volatilità dei consensi nel Paese andino: in tre anni si è passati da un voto a valanga per la Costituente al successo di candidati indipendenti e progressisti per la Convenzione costituzionale; dal successo della sinistra di Gabriel Boric alla clamorosa bocciatura della Costituzione scritta nel 2022; dalla rivincita della destra alle elezioni per il Consiglio costituzionale, alla sua nuova sconfitta nel plebiscito di ieri. “Il problema principale è dovuto al fatto che c’è un malessere sociale generalizzato, la gente si sente presa in giro, e spesso il motivo del disagio non dipende direttamente dalle proposte di riforma, ma ha a che vedere con la crisi economica, mentre la speranza di una vita buona viene continuamente frustrata”, continua il gesuita. Certo, “per il prossimo futuro la politica cilena è imprevedibile, e lo è dentro una crisi generalizzata che investe tutto il continente, come si vede dalle situazioni del rispetto dei diritti umani in El Salvador, in Nicaragua, in Venezuela, e in altri contesti”. Ed è possibile, se non probabile, che il sogno di una nuova Costituzione condivisa da tutti, che superi quella di Pinochet, debba rimanere nel cassetto, dato che si sta entrando nella seconda parte della legislatura, con la prospettiva di vivere un’altra logorante e lunga campagna elettorale