“La famiglia Ulma è stata uccisa, massacrata per aver custodito le radici cristiane”: lo ha detto il prefetto del Dicastero delle cause dei santi, card. Marcello Semeraro alla presentazione dell’album di fotografie dedicate ai martiri polacchi trucidati dai nazisti il 24 marzo del 1944. La presentazione delle opere del noto fotografo romano di origine polacca Grzegorz Gałązka, raccolte nel volume “Beati martiri di Markowa” (ed. Bernardinum), impreziosito dalle immagini scattate dallo stesso beato Józef Ulma, si è svolta stamattina presso l’Università Pontificia della Santa Croce in presenza dell’ambasciatore polacco presso la Santa Sede, Adam Kwiatkowski, del governatore della regione polacca di Precarpazia, Władysław Ortyl, e del direttore della sezione polacca di Vatican News, don Paweł Rytel-Andrianik. Quest’ultimo è anche autore, insieme a Manuela Tulli, della storia della famiglia Ulma “Uccisero anche i bambini. Gli Ulma, la famiglia martire che aiutò gli ebrei” pubblicata in italiano da Edizioni Ares e uscita in concomitanza con la cerimonia di beatificazione avvenuta in Polonia, proprio a Markowa, il villaggio dei nove martiri. La beatificazione avvenuta il 10 settembre scorso è stata celebrata dal card. Semeraro che nella sua omelia così ha raccontato la tragica vicenda: “Nel 1942 Józef e Wiktoria Ulma aprirono le porte della loro casa e diedero accoglienza a otto ebrei, perseguitati dal regime del nazismo tedesco. Oggi, insieme ai nuovi beati, vogliamo ricordare anche i loro nomi. Si è trattato di Saul Goldman con i loro figli Baruch, Mechel, Joachim e Mojżesz nonché di Gołda Grünfeld e Lea Didner insieme con la piccola figlia Reszla. Questo gesto di Józef e Wiktoria fu in obbedienza al comando del Signore. Fu un ‘sì’ alla volontà di Dio. La loro casa diventò quella locanda in cui l’uomo disprezzato, reietto e colpito a morte fu ospitato e curato. Poté così continuare a vivere. Senza una cura premurosa infatti l’uomo viene meno: la cura fa talmente parte dell’essenza umana, che rende possibile l’esistenza proprio in quanto umana. Per questo gesto di accoglienza e premura – in una parola: di carità – scaturito dalla loro fede sincera, i coniugi Ulma pagarono, insieme ai più piccoli della loro famiglia, il prezzo supremo del martirio: le loro vite furono la moneta preziosa, con cui suggellarono la gratuità del dono totale di sé nell’amore”. Insieme ai coniugi Ulma e i loro sei bambini piccoli è stato riconosciuto martire anche il neonato ancora senza nome di cui al momento del massacro era incinta la mamma Wiktoria.