“Se il diritto consistesse soltanto nell’applicazione della norma in base al sillogismo giuridico, sarebbe un puro strumento di potere, riducendosi all’applicazione della ragione dello Stato, che ha il monopolio dell’uso legittimo della forza”. Lo afferma il padre gesuita Ottavio De Bertolis, professore di Filosofia del diritto alla Pontificia Università Salesiana, nel quaderno 4.163 de La Civiltà Cattolica, in uscita sabato 2 dicembre e come di consueto anticipata al Sir. L’interpretazione del diritto – la tesi sostenuta dall’autore – è un processo più complesso, che coinvolge non solo il legislatore, ma anche gli altri operatori giuridici, e gli stessi cittadini. “Il contesto dell’interpretazione – scrive De Bertolis – non è solo testuale, ma anche esistenziale: i destinatari devono poter comprendere il significato della norma, per poterla osservare consapevolmente”.” I princìpi costituzionali ci riconducono a un ripensamento dei termini della creazione del diritto come strumento di vera pace sociale, e non del prevalere della legge del più forte”. E questo impedisce “la chiusura del diritto su sé stesso, la sua autoreferenzialità, la sua trasformazione, secondo la nota immagine kelseniana, negli occhi sbarrati della Gorgona, cioè del potere. Proprio questo – sottolinea il gesuita – fa del giurista un uomo di pace”. La sua opera, infatti, “è mediazione tra la norma e il caso, tra il momento, pur costitutivo e imprescindibile, del diritto come momento pubblico e coattivo, le persone coinvolte nella lite o guerra, ossia nella contestazione, e i valori che la nostra comunità intende tutelare. In questo senso l’esperienza giuridica presenta un singolare interesse, perché è simile a una creazione: una creazione certo tutta umana, affidata all’uomo, che pone ordine nel caos originario, che qui è la situazione da regolare, proprio come la creazione divina della Genesi”. Come quest’ultima, “essa avviene attraverso parole performative, che creano cioè quello che significano”. Per il gesuita, il diritto “è così un punto di incontro tra natura e cultura. Ed è interessante ancora osservare che perno di questa nuova creazione – che è in qualche modo una vera redenzione, seppure affidata all’uomo come prolungamento della provvidenza stessa di Dio, della quale diveniamo partecipi, è precisamente l’uguaglianza”.