Liturgia. Don Giardina (Cei): “Deve saper leggere le righe del cuore”

"La Chiesa italiana è stata sempre guardata con particolare attenzione anche dalle altre realtà ecclesiali, per la sua prossimità al Santo Padre e al vissuto della nostra gente". Così il direttore, don Alberto Giardina, sintetizza per il Sir i 50 anni dell'Ufficio liturgico della Cei, oggetto di un convegno alla Pontificia Università Urbaniana, che commemora anche i 60 anni della Sacrosanctum Concilium

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Dialogare con il nostro tempo e individuare le urgenze pastorali e liturgiche per l’oggi”. E’ uno degli obiettivi del convegno “La liturgia a sessant’anni da Sacrosanctum Concilium. L’ufficio liturgico nazionale e la riforma liturgica in Italia”, in corso alla Pontificia Università Urbaniana a Roma fino al 25 novembre. Due gli anniversari che l’iniziativa intende commemorare il 60° anniversario della promulgazione della Costituzione conciliare “Sacrosanctum Concilium” e il 50° anniversario dell’Ufficio Liturgico nazionale della Conferenza episcopale italiana. “Un raduno di famiglia, fatta di volti e storie incrociate a volte in maniera misteriosa a servizio della liturgia in Italia”. Così don Alberto Giardina, direttore dell’Ufficio Liturgico nazionale della Cei, ha definito l’evento, “non semplicemente commemorativo”, ma “occasione per fare memoria grata e riscoprire l’eredità del passato; dialogare con il nostro tempo e individuare le urgenze pastorali e liturgiche per l’oggi; dare casa al futuro e tracciare piste per il futuro che ci attende”. Il Sir lo ha intervistato.

Don Giardina, quale è secondo lei l’eredità da raccogliere della Sacrosanctum Concilium, e quali impatto può avere sull’assetto liturgico odierno?
L’eredità della costituzione conciliare è quella di aver permesso una partecipazione più attiva e consapevole all’azione liturgica, di aver riscoperto il legame tra liturgia e Parola e la dimensione teologica della stessa liturgia, che il Concilio Vaticano II ha liberato dalle forme di ritualismo che avevano allontanato la comprensione dell’idea di mistero. Tra le esigenze nuove da portare avanti oggi, la dimensione dell’adattamento della liturgia al nostro tempo, l’attenzione della liturgia alla storia come storia di salvezza, storia degli uomini e storia di un popolo e il tema della formazione liturgica, che comporta l’impegno ad aiutare nuovamente gli uomini e le donne del nostro tempo a vivere l’agire liturgico e a riscoprirne il linguaggio, che oltre ad essere il linguaggio del rito è un linguaggio anche molto umano. Un impegno, questo, che è stato accolto in passato e viene accolto ancora oggi dall’Ufficio liturgico della Cei, ed è rivolto a favorire una formazione liturgica sempre più capillare.

Cosa significa, per l’Ufficio liturgico della Cei, raggiungere il traguardo dei 50 anni?
Aprendo i lavori di questo convegno ho utilizzato la metafora della foto di famiglia: quando si sfogliano gli album, si incontrano i volti dei nonni, degli zii, dei cugini…Compiere 50 anni, per il nostro ufficio, significa anzitutto riscoprire i volti e le storie dell’impegno della Chiesa italiana nel portare avanti l’opera di riforma liturgica, che progredisce anche grazie ai nomi e all’eredità delle intuizioni di tutti coloro che ci hanno preceduto.

La Chiesa italiana è stata sempre guardata con particolare attenzione anche dalle altre realtà ecclesiali per la sua prossimità al Santo Padre e al vissuto della nostra gente.

Per citare solo un esempio, l’adattamento del Messale del 1983 è stato accolto dall’edizione latina della terza Editio Typica, rendendo merito proprio all’esperienza maturata dalla Chiesa in Italia. Compiere 50 anni significa per l’Ufficio liturgico della Cei anche riprendere in mano il nuovo Messale e la traduzione della Bibbia, oltre che impegnarsi per i cantieri del futuro. Tra i laboratori che riguardano questioni particolarmente significativi per la liturgia di oggi e di domani, ne abbiamo identificati in particolare nove: liturgia e famiglia, liturgia e disabili, liturgia e catechesi, i ministeri nella liturgia, l’ars celebrandi, la musica per la liturgia, le forme emergenti della pietà popolare, la liturgia nell’era digitale.

Papa Francesco, nella Desiderio Desideravi, parla di “metodo dell’incarnazione” e raccomanda una liturgia “di popolo”. Come evitare il rischio di un liturgismo astratto e disincarnato, che allontana i fedeli dalle chiese?
Di liturgie noiose e omelie troppo lunghe si è parlato anche durante il Cammino sinodale della Chiesa italiana. Il Santo Padre, con la Desiderio Desideravi, ci ha chiesto di uscire fuori dal personalismo e di recuperare il senso del linguaggio liturgico cercando di entrare in dialogo con le istanze dell’uomo contemporaneo.

Ci vuole una liturgia che sappia leggere tra le righe dei libri liturgici le pieghe del cuore umano, attraverso l’attenzione all’uomo concreto nella situazione in cui si trova.

La liturgia non si trova mai davanti una comunità astratta, ma una porzione di popolo con la sua stanchezza, le sue fatiche e le sue speranze, i suoi travagli e la sua gioia. L’importante è saper leggere le righe del cuore, anche attraverso una riscoperta della corporeità.

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