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Manifestazioni e odio antisemita. Salvarani: “Non lasciamoci abbagliare dall’albero che brucia, c’è anche un’amicizia che cresce”

“Da parte di chi lavora nel dialogo, in queste settimane la prospettiva che ci anima è quella di ricordare il percorso che è stato fatto fino ad ora e che non va buttato via ma anzi va valorizzato. Il rischio è lasciarci abbagliare dall'albero che brucia e non vedere la foresta che cresce”. A parlare è Brunetto Salvarani, teologo ed esperto di dialogo, al quale abbiamo chiesto un commento sull'impatto che il conflitto scoppiato in Medio Oriente il 7 ottobre sta avendo sulle relazioni tra le comunità etniche e religiose, in Europa e nel nostro Paese

(Foto ANSA/SIR)

Le immagini drammatiche della folla che nella capitale del Daghestan prende d’assalto un aereo proveniente da Israele. La nota della presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche in Italia che parla anche nel nostro Paese di “un clima crescente di intolleranza”. Il conflitto scoppiato in Medio Oriente il 7 ottobre sta avendo un impatto potente anche in Europa, rimescolando i termini del dialogo, generando un diffuso clima di odio e violenza e portando anche qui le lancette del tempo all’11 settembre 2001. “L’antisemitismo purtroppo – commenta Brunetto Salvarani – è il pregiudizio più antico della storia dell’umanità ed è un pregiudizio che non si spegne mai. Viene da lontano e trova il suo culmine durante la Shoah. Risorge soprattutto in momenti di crisi”. Salvarani è teologo, esperto di dialogo e pluralismo religioso, presidente dell’Associazione Italiana Amici di Nevè Shalom Wahaat as Salam, un villaggio situato in Israele dove ebrei e palestinesi, tutti di cittadinanza israeliana, vivono insieme in equità e giustizia.

Anche in Italia, si sta registrando un clima di odio.
Sul piano italiano, non dobbiamo mai dimenticare che gli ebrei dal punto di vista numerico sono una minoranza molto esigua, nel senso che gli iscritti alle comunità ebraiche sono circa 30.000. Stiamo parlando paradossalmente di una situazione che coinvolgerebbe in teoria pochi italiani. E invece la questione ebraica, se vogliamo chiamarla così, è sempre forte. Fa i conti oggi con l’irrompere della situazione in Israele e in Palestina. L’antisemitismo si avvale sempre di una situazione costantemente irrisolta e – non dimentichiamolo – fa breccia su un terreno di ignoranza complessiva per cui l’italiano medio fa fatica a conoscere le dinamiche storiche che hanno generato una situazione che non nasce dall’oggi al domani, tanto più in quella terra dove c’è una memoria così così forte del passato e di riflesso anche da noi.

Come si caratterizzano le comunità ebraiche in Italia?
L’ebraismo italiano storicamente è stato un ebraismo integrato nella storia della nostra Nazione. E’ stato un ebraismo anche molto liberale. Penso a figure illuminate come il Rav. Elio Toaff, storico rabbino capo della Comunità ebraica di Roma e come Amos Luzzatto che è stato a lungo Presidente dell’Unione delle comunità ebraiche in Italia. Figure ben inserite nella vita e nella società italiane e consapevoli del ruolo importante che questa, seppur esigua minoranza, svolgeva nella dinamica di un Paese che tra l’altro stava diventando sempre più multi religioso e multiculturale.

In un clima come quello di oggi, quali sono gli errori che le comunità religiose del nostro Paese devono assolutamente evitare?
Il primo errore è quello di chiudere con questa esperienza di dialogo che si è radicata anche nel nostro Paese in questi anni. Il dialogo interreligioso è necessario. Anzi, è ancor più necessario oggi.

L’altro errore è quello di non cedere alle sirene dei fondamentalismi e schierarsi tra le opposte tifoserie. Mi sembra che lo schieramento alla fine non produca quello di cui c’è bisogno. E quello di cui oggi c’è bisogno è di offrire spazi di riflessione critica della realtà, in chiave però di educazione alla pace e al dialogo. C’è bisogno soprattutto di qualcuno che sappia indicare cosa succede quando si intraprendono le strade dell’odio e della violenza.

Il conflitto scoppiato il 7 ottobre sembra aver segnato purtroppo un punto di non ritorno. Quale impatto sta avendo anche sul dialogo tra le comunità religiose? 

E’ vero, in questo momento, tra gli effetti collaterali di quello che è successo il 7 ottobre, sembra che stia riprendendo la logica dello scontro di civiltà. Lo si avverte sia nei mass media sia nell’immaginario collettivo. Uno schema che pensavamo di aver messo da parte, grazie anche al costante rifiuto di esso da parte di Papa Francesco e invece sono bastati pochi giorni, e siamo ripiombati in un clima di guerra anche di religione. Dopo l’11 settembre e l’irruzione dell’Isis, si sono avviati faticosi processi di dialogo interreligioso. Di integrazione virtuosa anche nel nostro paese.

 Questi processi avviati riusciranno a tenere anche in queste situazioni di conflitto o subiranno una brusca frenata?
La domanda è, saremo ancora una volta vittime di un accecamento che impedisce il discernimento? Da parte di chi lavora nel dialogo, in queste settimane la prospettiva che ci anima è quella di ricordare il percorso che è stato fatto fino ad ora e che non va buttato via ma anzi va valorizzato. Il rischio è lasciarci abbagliare dall’albero che brucia e non vedere la foresta che cresce. C’è un’amicizia. In questi anni abbiamo costruito tra membri di comunità religiose diverse un rapporto di una stima reciproca che comunque va avanti. Vorrei rivolgermi soprattutto ai ragazzi, ai giovani cresciuti purtroppo in questa bolla mediatica che li porta a far credere che tutto sia negativo. Non cediamo a questa logica che vuole far vedere le religioni solo come detentori di fondamentalismo e chiusura. E non dimentichiamo che, come dicevo, le religioni sono state, soprattutto nei momenti più difficili della storia recente, e possono, anzi devono, diventare oggi spazio di riflessione critica e di ascolto.

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