“Brancaccio a Palermo non è stato un teatro per deboli di cuore, ma un quartiere dove cultura della morte, speranza e disperazione sono vicine compagne. Qui don Puglisi decise di erigere il suo pulpito, in quartieri abitati da falsi idoli”. Lo ha detto Salvatore Martinez, docente di Cooperazione internazionale all’Università europea di Roma, intervenendo stamani nell’ateneo alla conferenza “Educare alla legalità, ripensare le relazioni tra case, cortili e chiese”, nel 30° anniversario del martirio del beato don Pino Puglisi. “Non fu protagonista di grandi gesti, ma interprete di una costante, incisiva, opera di lotta alla criminalità che si radica dove prosperano povertà materiale, culturale e spirituale – ha aggiunto -. Le mafie si offendono e feriscono educando alla buona vita i loro figli e figliastri, interrompendo così la catena generazionale della malavita”.
Un sacerdote, Pino Puglisi, che “ha creduto nella potenza educante che fede e cultura creano nella comunità”. Martinez ne ha indicato le “armi per combattere ignoranza e odio”: “La potenza di una parola umana educante e di una parola divina liberante”. “Credeva nel potere del teatro come strumento di educazione – ha aggiunto -. Faceva impersonare ai figli della malavita eroi positivi in modo che il passaggio da personaggi a persone fosse reale”. Guardando anche al sorriso del sacerdote ucciso dalla mafia, l’ex presidente del Rinnovamento nello Spirito Santo ha ribadito che “sorrideva perché era un uomo capace di raccogliere pace come effetto della giustizia seminata”. “Il sorriso di don Puglisi era il sorriso di chi ama. E il suo sorriso rimase nel cuore del suo assassino fino alla conversione di quest’ultimo”.