“La tragedia del Vajont sia anche oggi un monito a non giocare con gli equilibri della natura o sottovalutandoli o, comunque, ritenendoli – come si fece allora – gestibili dall’intelligenza umana; i fatti dicono che non è così che avviene”. Lo ha detto il patriarca di Venezia Francesco Moraglia, nell’omelia della messa celebrata questo pomeriggio al cimitero monumentale di Fortogna (Belluno) nel 60° anniversario del disastro del Vajont. “Una domanda deve interpellarci sempre – ha proseguito Moraglia -: cosa siamo disposti a sacrificare per tutelare e promuovere l’uomo e il creato? La vera grandezza dell’uomo consiste non nello scrivere il proprio nome nel libro del Guinness dei primati o nel produrre un reddito sempre più grande, ma nel dare risposte che siano eticamente fondate”. “Il megaprogetto del ‘grande Vajont’ mosso da interessi economici enormi – ha fatto notare il patriarca di Venezia – avrebbe dovuto garantire risorse energetiche per l’incipiente stagione del boom economico ed era connesso alla futura nazionalizzazione delle aziende private che producevano energia. Erano gli anni Cinquanta e Sessanta: di quel progetto rimangono duemila morti, paesi distrutti e il fallimento di un sogno ingegneristico. Quel progetto non fu fermato, nonostante i ripetuti segnali premonitori che furono considerati insufficienti di fronte ad altri interessi in gioco. Se fossero stati accolti, mettendo su un piatto della bilancia il rispetto delle vite umane e sull’altro piatto l’espansione economica del Paese, non avremmo avuto la tragedia del Vajont: sarebbe servita un’altra logica”. “Il dramma che si è consumato 60 anni fa, nella vita di tanta povera gente, in queste valli fra Veneto e Friuli, è un monito sempre attuale. Il bene delle singole persone e il bene comune devono orientare le scelte di chi agisce, soprattutto in ambito pubblico. Anche così si diventa ‘buoni samaritani’ nel nostro tempo, che è il tempo della scienza e della tecnica, e nei nostri territori, perché solo così si rispetta e si ama il prossimo”.