Un viaggio catartico e riparatore. È il coinvolgente cammino laico, non privo di riflessi di spiritualità, che intraprende il pensionato Harold Fry, personaggio uscito dalla penna della britannica Rachel Joyce e sagomato sullo schermo dal Premio Oscar Jim Broadbent. Parliamo del film “L’imprevedibile viaggio di Harold Fry” diretto da Hettie Macdonald (“Normal People”), una storia di finzione dagli ancoraggi profondamente realistici, un racconto che scandaglia le tonalità livide della sofferenza umana facendole virare verso i colori della fiducia. Una storia poetica, che fa bene al cuore. Su Netflix è disponibile la terza parte di “Lupin”, serie francese di impianto giallo con inserti brillanti creata da George Kay. Sette nuovi episodi dedicati alle avventure del ladro gentiluomo Assane Diop, nuovamente tallonato da polizia e nemici di lungo corso. Protagonista un sempre convincente Omar Sy, affiancato da Ludivine Sagnier, Antoine Gouy e Soufiane Guerrab. Il punto Cnvf-Sir
“L’imprevedibile viaggio di Harold Fry” (Cinema, dal 5 ottobre)
“Quando ho letto l’incredibile romanzo di Rachel Joyce, ne sono stata immediatamente affascinata. Rachel affronta i temi del lutto, della perdita, del senso di colpa e della cura. Credo che Harold sia un eroe straordinario, con il suo coraggioso salto nell’ignoto dimostra che è possibile guarire attraverso un atto di fede”. Sono le parole della regista Hettie Macdonald – tra i suoi lavori le serie “Normal People” e “Casa Howard” –, che ben introducono il film “L’imprevedibile viaggio di Harold Fry”, nei cinema con Bim dal 5 ottobre. Protagonisti il Premio Oscar Jim Broadbent (“Moulin Rouge!”, “Iris”, “Il ritratto del Duca”) e Penelope Wilton (“Downton Abbey”, “After Life”). A firmare la sceneggiatura è sempre la scrittrice Joyce.
La storia. Nella cittadina di Kingsbridge, nella contea del Devon, vivono Harold Fry e sua moglie Maureen, una coppia di pensionati dalla vita semplice e composta. Un giorno Harold riceve una lettera da una sua ex collega, Queenie (Linda Bassett), che gli confida di essere malata di tumore, in stadio avanzato, e di vivere in un hospice al Nord, a Berwick-upon-Tweed. Scosso dalla notizia, Harold decide di rispondere alla lettera, anche se non trova facilmente le parole. Dopo aver composto un testo dignitoso, saluta la moglie ed esce di casa diretto all’ufficio postale. Harold capisce però che la missiva non è sufficiente: si aggrappa fiduciosamente all’idea di andare a salutare Queenie di persona e intraprende un cammino a piedi di 800 km.
Quello che si configura come un atto di fede laica, un cammino-testimonianza giocato sui valori dell’amicizia e della solidarietà, in verità si dipana come uno struggente e poetico viaggio esistenziale del protagonista ma anche della comunità di cui è parte. Nel viaggio cambia Harold e chi gli sta intorno. Animato da sentimenti nobili, il pensionato Harold Fry si getta in un’impresa più grande di lui: si mette in marcia convinto di poter tenere in vita l’amica malata, almeno finché non arriverà da lei in Scozia. Un viaggio che sulle prime lascia di stucco tutti, ma che piano piano appassiona quell’umanità che Harold incontra lungo la via, un’umanità che si apre con gentilezza e solidarietà verso l’anziano e improvvisato viandante, fonte luminosa d’ispirazione per tutti.
Inoltre, il film si direziona in chiave introspettiva: ci mostra progressivamente, grazie a diversi flashback, le ferite dell’animo di Harold, a cominciare dalla morte per suicidio dell’unico figlio David (Earl Cave) e dal rapporto disperso con la moglie. Harold e Maureen si sono allontanati per troppa sofferenza. L’uomo compie pertanto un percorso di attraversamento del dolore, mettendo in condivisione il proprio struggimento con quello altrui e tracciando una traiettoria di riscatto, una possibilità di riconciliazione.Avvalendosi di due interpreti intensi e raffinati, come Broadbent e Wilton, la regista Macdonald riesce con abilità a trasporre in maniera convincente il romanzo d’esordio di Rachel Joyce. Ne valorizza e amplifica le possibilità tematiche ed espressive, confezionando un’opera dolce e dolente, marcata da diffusa poesia. “L’imprevedibile viaggio di Harold Fry” è un film che conquista per densità e delicatezza. Consigliabile, problematico, per dibattiti.
“Lupin. Parte 3” (Netflix, dal 5 ottobre)
Torna una delle serie di punta di Netflix. Dal 5 ottobre sono disponibili i sette nuovi episodi della terza parte di “Lupin”, adattamento nella Francia contemporanea del ladro gentiluomo Arsenio Lupin, creatura letteraria di Maurice Leblanc ideata agli inizi ‘900. Protagonista di “Lupin” è un sempre bravo Omar Sy, nei panni del ladro Assane Diop, che esegue colpi sul tracciato delle opere di Leblanc. A firmare la serie è George Kay, una produzione Gaumont e Netflix.
La storia. Avevamo lasciato Assane Diop messo alle strette dalla polizia e dai tiri mancini di Pellegrini (Hervé Pierre), pronto a lasciare Parigi e star lontano dalla moglie Claire (Ludivine Sagnier) e dal figlio Raoul (Etan Simon). Muovendosi nell’ombra, con l’aiuto dell’amico Benjamin (Antoine Gouy), Assan ha come obiettivo rubare una rara perla nera. I rigurgiti della sua storia passata, i traumi subiti in infanzia, si ripresentano però puntualmente in campo cambiando le carte in tavola…
La confezione formale di “Lupin” è sempre seducente: un giallo acuto e brillante che si snoda per le vie di Parigi, muovendo su più piani narrativi, tra il nostro presente e le vicende narrate da Maurice Leblanc. A ben vedere, l’impianto della serie, nella logica dell’attualizzazione dei romanzi, ricorda non poco il modello di “Sherlock” della Bbc (2010-17) serie firmata da Mark Gatiss e Steven Moffat che recuperava i racconti di Arthur Conan Doyle dedicati al celebre detective di Baker Street. Sempre secondo un’alternanza dei piani narrativi, il racconto si snoda tra le imprese di Assane Diop, che sigla ogni colpo con l’eleganza e il mistero enigmatico degno di un abile prestigiatore, e i flashback del passato che rendono la storia più densa, marcata di un realismo sociale.
L’andamento risulta scorrevole, di certo avvincente, seguendo uno schema di racconto abbastanza prevedibile, tipico del romanzo giallo: nella prima parte di ogni episodio, infatti, regnano suspense e spiazzamento, mentre nella seconda viene sciolto il dilemma chiarendo i “trucchi del mestiere”, le astuzie della truffa di Assan/Lupin. “Lupin. Parte 3” si conferma un prodotto di evasione, giocato tra il giallo-thriller poliziesco (sfrondato dalle tonalità più cupe) e inserti di umorismo brillante. La serie possiede notevole ritmo e fascino, anche se a lungo andare il tutto potrebbe rischiare di inciampare nella ripetitività e, dunque, perdere di mordente. Serie consigliabile, problematica, per dibattiti.