“Sono molto preoccupato che una differenza di opinioni tra questa paziente e i medici che la curano possa formare la base sulla quale una giovane donna cosciente viene considerata incapace di decidere della sua vita e delle cure delle quali ha bisogno”. Con queste parole il vescovo John Sherrington, responsabile del settore vita per la Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, è intervenuto sul caso di “ST”. Con questo acronimo, per proteggere la sua identità, la “Court of Protection”, il tribunale britannico competente in materia di capacità mentale dei pazienti, ha identificato una ragazza diciannovenne colpita da una malattia molto rara del dna mitocondriale. Mentre i medici curanti vogliono lasciarla morire, la ragazza vuole andare in Canada per provare una nuova terapia che potrebbe salvarla. Il caso ricorda quello dei minori Charlie Gard, Alfie Evans e Archie Battersbee che i genitori volevano portare all’estero per cure sperimentali ma ai quali i medici, autorizzati dai giudici, hanno sospeso le cure vitali. Nel suo comunicato il vescovo Sherrington sottolinea le contraddizioni di questo caso. Il fatto che, prima dell’ultima sentenza della “Court of Protection”, “ST” era stata considerata, da alcuni psichiatri che l’avevano esaminata, “in grado di intendere e volere e decidere delle cure delle quali aveva bisogno”, mentre la “Court of Protection”, alla quale sono ricorsi i medici curanti, ha deciso che “non ha la capacità mentale di decidere delle sue cure”.