Terzo giorno di proiezioni all’80ª Mostra del Cinema della Biennale di Venezia. Sul tappeto rosso tre autori molto attesi: il primo è l’audace e visionario regista greco Yorgos Lanthimos, che torna in gara a cinque anni dal successo del film “La favorita” (2018, Gran premio della giuria e Coppa Volpi per Olivia Colman). Lanthimos lascia nuovamente il segno con “Poor Things. Povere Creature!”, racconto che si muove tra surreale, dramma fantastico e favola dark. Una sorta di Alice che abbandona il paese delle meraviglie e si immerge in una dimensione sociale disseminata di brama e ferocia. Qua e là, lampi di “Metropolis” e “Frankenstein”. Protagonista una sensazionale Emma Stone. Ancora, una suggestione potente, su registro classico, è quella che giunge dal dramma storico danese “Bastarden. The Promise Land” di Nikolaj Arcel, con protagonista un magnifico Mads Mikkelsen. È anche il giorno del secondo italiano in gara, Saverio Costanzo, con “Finalmente l’alba”: uno sguardo sulla Roma anni ’50 con incursioni nella Hollywood sul Tevere, tra fascinazione e ombre di corruzione. Il punto Cnvf-Sir.
“Poor Things. Povere Creature!” – Film in concorso
Non ci si può aspettare qualcosa di lineare e accomodante da un regista geniale e provocatorio come il greco Yorgos Lanthimos. Basta citare alcuni suoi titoli per tracciare il perimetro del suo orizzonte narrativo, la direzione del suo sguardo: “The Lobster” (2015), “Il sacrificio del cervo sacro” (2017) e “La favorita” (2018). Autore considerato già cult, a Venezia arriva con “Poor Things. Povere Creature!” destinato a turbare e conquistare, e forse a entrare nel palmares della Mostra. Prendendo le mosse da un racconto di Alasdair Gray e sceneggiato da Tony McNamara (candidato all’Oscar per il copione de “La Favorita”), il nuovo film di Lanthimos ci introduce in un mondo che accosta il favolistico alla commedia nera, al dramma feroce. Straordinaria protagonista, nonché produttrice, è il Premio Oscar Emma Stone, che ipoteca una Coppa Volpi.
La storia. Londra fine ‘800, una donna (Emma Stone) si getta da un ponte. La raccoglie sulle rive del fiume il dottor Godwin Baxter (Willem Dafoe) che decide, spinto dal desiderio della scoperta scientifica, di riportarla in vita trapiantandole un nuovo cervello. Nasce così la nuova vita di Bella, Bella Baxter. La giovane donna deve imparare nuovamente a parlare, a interagire e relazionarsi con gli altri; è come una creatura indifesa e curiosa verso il mondo. Un giorno viene sedotta dall’avvocato Duncan Wedderburn (Mark Ruffalo), che le fa scoprire la dimensione sessuale e la conduce in viaggio nelle principali capitali del Mediterraneo. Bella sperimenterà un intenso e vorticoso percorso di formazione, di apertura alla vita reale, tra illusioni e abbagli brucianti…
Yorgos Lanthimos è un regista dallo sguardo vigoroso e allegorico. Fotografa la realtà con lenti deformanti, disegnando sentieri surreali e lividi. Qui mette in scena una favola capovolta, nerissima: sembra riprendere la figura di Alice di Lewis Carroll per calarla in uno scenario claustrofobico, ammaliante e gotico. Bella è un po’ Alice ma anche una creatura come Frankenstein uscita dalla penna di Mary Shelley. Splendida d’aspetto, svuotata però nella personalità, pronta a essere riplasmata dal suo creatore Godwin, che lei chiama “God”, dio. Ma qualcosa va “storto”: Bella matura subito idee proprie, desideri, insofferenze. Alla prima occasione, fugge via e si immerge nel mondo, che però non le risparmia nulla: dall’iniziale ebbrezza, anche fisica-sessuale, per passare rapidamente alla povertà, disparità sociale, mercificazione del corpo della donna e crudeltà da parte di uomini predatori.
Lanthimos strappa sorrisi e inquietudini allo spettatore, chiamato a seguire le vicissitudini di Bella – punto di vista narrante – per fare esperienze (brutali) della realtà. Il racconto sa essere colto, ilare ed esplicito. L’autore non risparmia nulla alla sua Bella, ma neanche allo spettatore. Opera sguardo di certo interessante, visionaria, ma di non facile cooperazione. Film complesso, problematico, per dibattiti.
“Bastarden. The Promise Land” – Film in concorso
Regista e sceneggiatore danese classe 1972, Nikolaj Arcel ha trovato larghi consensi e popolarità nel 2012 con il dramma storico “Royal Affair” con Mads Mikkelsen. A distanza di un decennio ha richiamato il noto attore per affidargli un nuovo copione, “Bastarden. The Promise Land”: una storia epica, struggente, ambientata nel XVIII secolo in Danimarca, tratta dal romanzo di Ida Jessen.
La storia. Danimarca 1755. Il capitano Ludvig Kahlen (M. Mikkelsen) raduna tutti i suoi averi per un progetto ambizioso, definito dai più impossibile: la bonifica della brughiera nel Nord del Paese e la creazione di una colonia agricola. Spera così di poter ottenere un titolo nobiliare dal re. I suoi desideri si scontrano subito con molte asperità, dalla terra che non si lascia coltivare all’invidia dei nobili locali che vorrebbero reprimere l’audacia del militare. Uniche alleate, insieme a una tempra caratteriale granitica, sono la domestica Ann Barbara (Amanda Collin) e una bambina nomade…
Influenzato dalla paternità, il regista Arcel compone un grande affresco storico-epico, che ricorda non poco l’orizzonte del western a stelle e strisce, per offrire una intesa e poetica riflessione sul nostro presente. Spesso siamo così “distratti” da ambizioni professionali e conquiste sociali, al punto da mettere in secondo piano – se non a negare – valori primari e centrali nell’esistenza. Parliamo dell’amore, della tenerezza e del bisogno di condivisione.
Arcel governa con padronanza e disinvoltura un racconto denso, imponente dal punto di vista realizzativo, rendendo il ritmo della storia fluido ed avvincente. Sembra una corsa all’oro nel Vecchio West, ma siamo nelle gelide terre del Nord Europa; ancor più, siamo nelle praterie dell’animo di un’umanità errante e insicura, desiderosa di un’occasione di riscatto.
Molto del film poggia sull’interpretazione di Mads Mikkelsen, attore che non sbaglia mai un ruolo, approfondendo sempre traiettoria interiore ed evoluzione nel procedere della storia. Rende con efficacia la durezza della formazione di un militare, di estrazione povera, che prova a giocarsi l’occasione della vita. Un film di impianto classico, di grande spessore. Consigliabile, problematico, per dibattiti.
La nota critica di Massimo Giraldi su “Finalmente l’alba”
“Saverio Costanzo torna in gara a Venezia a distanza quasi dieci anni dal successo di ‘Hungry Hearts’ (2014) e dopo aver brillantemente curato l’adattamento della serie ‘L’amica geniale’ (dal 2018). Presenta al Lido ‘Finalmente l’alba’, un importante progetto supporto tra gli altri da Cinecittà. Il regista ci porta indietro nel tempo, nella Roma dei primi anni ’50, dove erano ancora fresche le ferite della guerra ma c’era anche il sogno del cinema, della Hollywood sul Tevere. Con l’obiettivo iniziale di dare voce a una dimenticata pagina di cronaca nera, l’omicidio della giovane Wilma Montesi, in realtà l’autore disegna una malinconica storia di formazione dalle sfumature neorealiste. Tra ‘Bellissima’ e ‘La dolce vita’. Costanzo ci racconta una giovane, Mimosa, interpretata da Rebecca Antonaci, che finisce da protagonista su un set. Lì, in una sola notte, diventa adulta e i suoi sogni si scontrano, si incrinano, al contatto con la realtà.
Convince sempre il modo in cui Costanzo guida la macchina da presa, tra grande realismo e delicatezza; il copione non sempre scorre veloce, ma a imprimere fascino al racconto è il ritratto della Roma del tempo e della capitale del cinema, Cinecittà. Oltre all’esordiente Antonaci, sono da ricordare volti noti del cinema e della serialità internazionale: Lily James, Joe Keery, Willem Dafoe e la nostra Alba Rohrwacher. Film consigliabile, problematico, per dibattiti”.