(Da Sarajevo) Ci sono voluti anni di battaglie legali, di petizioni e iniziative di protesta. Oltre alla caparbietà di chi non si è mai voluto arrendere di fronte a una colossale ingiustizia. Alla fine, però, i “figli dimenticati” della guerra di Bosnia hanno vinto: sono riusciti a farsi riconoscere come categoria sociale e giuridica, a far valere i loro diritti, forse persino a tracciare un percorso replicabile in altre parti del mondo.
Trent’anni dopo la guerra che sconvolse i Balcani, la nuova legge approvata dal Parlamento della Federazione di Bosnia-Erzegovina riconosce per la prima volta i bambini nati dagli stupri e le donne che subirono violenza come vittime civili di guerra, offrendo loro la possibilità di scegliere tra una pensione di invalidità e un assegno mensile di assistenza. Fino ad oggi, sebbene la violenza sessuale sia stata riconosciuta come crimine contro l’umanità dal Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia, la burocrazia aveva continuato a gettare sale sulle ferite delle donne che subirono gli stupri e sui figli nati da quelle violenze, non riconoscendoli come vittime di guerra. La società bosniaca li ha a lungo stigmatizzati e discriminati, facendoli spesso sentire in colpa per quello che avevano subito. Finora in quasi tutti i documenti ufficiali è stato obbligatorio indicare il nome del padre: quello della madre non basta. E per chi era costretto a lasciare quel campo vuoto, richiedere un sussidio o fare domanda per una borsa di studio poteva rivelarsi impossibile.
Lo stesso stigma aveva pesato fino ad oggi anche sulle donne, i cui figli non erano equiparati agli orfani di guerra. La nuova legge sulla tutela delle vittime civili del conflitto – che entrerà in vigore il primo gennaio 2024 – cancella finalmente questa ingiustizia indicando nel dettaglio la procedura di riconoscimento e le modalità di erogazione delle indennità, stabilendo che tutti i genitori ne avranno diritto, a prescindere dalla loro condizione economica.
Si tratta di una vittoria storica, in particolare per l’associazione Zaboravljena Djeca Rata (Figli dimenticati della guerra, Zdr) di Sarajevo, una Ong bosniaca che riunisce i bambini nati da violenze sessuali commesse durante la guerra, che adesso hanno tra i 25 e i 30 anni. Sono stati loro ad avviare e ad alimentare la battaglia per il proprio riconoscimento sociale e giuridico riuscendo a trovare una sponda nel potere esecutivo e in altre realtà della società civile bosniaca. La presidente di Zdr, Ajna Jusic, è da sempre l’attivista-simbolo della campagna. Laureata in psicologia all’università di Sarajevo, Jusic ha oggi 29 anni: ne aveva appena quindici quando scoprì che sua madre era sopravvissuta a uno stupro di guerra.
“L’adozione di questa legge è un passo importante verso la creazione di una società basata sull’uguaglianza di tutti i cittadini della Bosnia Erzegovina”, ha commentato. Nei fragili equilibri dei Balcani, con le tensioni mai placate in Kosovo e le continue minacce di secessione del presidente della Repubblica serbo-bosniaca Milorad Dodik,
la legge sulla tutela delle vittime civili approvata dal parlamento di Sarajevo rappresenta una svolta di buon auspicio per il futuro.
Anche se l’incertezza politica resta un’incognita.
Proprio ieri una sentenza della Corte europea dei diritti umani (organismo del Consiglio d’Europa, non della Ue ndr) ha affermato che “la rappresentanza etnica, in Bosnia-Erzegovina, risulta più rilevante di quella politica, economica e sociale, amplificando le divisioni nel Paese e minando il carattere democratico delle elezioni”.