“Erano molto provati dal dolore, non riuscivano a parlare, ci sono stati tanti silenzi e piangevano. Sono supportati da psicologi e altri operatori. Ho chiesto i nomi dei defunti per ricordarli nelle preghiere e fare in modo che non rimangano nell’anonimato. È stata una scena molto triste: così don Carmelo Rizzo, parroco della parrocchia di San Gerlando a Lampedusa, racconta al Sir l’incontro di ieri nell’hot spot di Contrada Imbriacola con tre dei quattro sopravvissuti al naufragio dei giorni scorsi nel Canale di Sicilia, durante il quale hanno perso la vita almeno 41 persone. Due giovani uomini e una donna della Costa d’Avorio, scioccati e affranti dal dolore. Dopo aver visto annegare i propri cari ed essere stati quattro giorni in balia delle onde su un barchino abbandonato, la loro priorità è stata quella di chiedere preghiere per i defunti. Su quattro superstiti tre sono cattolici. Oltre ad un abbraccio e a poche, difficili parole, di incoraggiamento e conforto, don Carmelo ha chiesto i nomi dei familiari morti: Ross, Silvia, Mohammed. “È importante che percepiscano di non essere considerati un numero ma persone”. Tutti e tre hanno perso un familiare in mare, mogli, mariti o figli. “Sono molto religiosi, vogliono affidare i loro defunti a Dio, hanno chiesto di pregare per le loro anime – racconta don Rizzo -. Ci hanno consegnato dei fiori da mettere sulle tre bare che sono nel cimitero di Lampedusa. Non so se si tratta delle salme dei loro cari o è solo un gesto simbolico”. I sacerdoti hanno chiesto se avevano un desiderio, un messaggio. “Hanno risposto che volevano solo pregare. Non hanno nemmeno la rabbia o la forza di denunciare. Erano molto provati e sotto choc”. “Sono rimasto molto colpito – prosegue – perché chiedevano perdono per i loro defunti, che Dio li perdonasse per i loro peccati. Nella mia mente si alternavano tanti pensieri e sentimenti: ma come è possibile, che colpa possono avere per chiedere perdono? Noi preti siamo abituati a stare in contatto con la morte, ma circostanze così sono davvero dure. Perché si potrebbe fare qualcosa e non si fa”.
I sentimenti prevalenti nella comunità lampedusana sono la rabbia, la delusione e l’amarezza, sorgono tante domande: “Perché a Lampedusa dobbiamo ancora assistere a tante tragedie? Una cosa è accogliere le persone, un’altra è trovarsi di fronte a persone defunte. Inoltre sapere che tanti sono dispersi in mare e nessuno può prendersi cura di loro è terribile”. Se si tratta di cattolici non appena le salme vengono dissequestrate si celebrano i funerali a Lampedusa. Ma quando non si sa l’appartenenza religiosa la prassi è organizzare dei momenti di preghiera ecumenici e interreligiosi alla camera mortuaria nel cimitero di Lampedusa. Spesso partecipano anche dei turisti. “Ognuno prega a modo suo. C’è chi recita una poesia, chi fa un canto, chi delle preghiere nella propria religione. Nei prossimi giorni sicuramente lo faremo”.
Intanto nell’hot spot di Contrada Imbriacola la situazione è sotto controllo. Ieri sera erano 700 persone ma continuano i trasferimenti verso Porto Empedocle. Negli ultimi mesi ci sono stati periodi in cui si sono sfiorate le 3.000 presenze. “Ora con la gestione della Croce rossa va molto meglio – conferma il parroco di Lampedusa -. Gli standard sono alti, viene curato il rispetto della dignità umana. Spesso ci chiedono di dare supporto spirituale o di organizzare momenti di preghiera. Con le gestioni precedenti questo non accadeva”. Il parroco racconta che “la Guardia costiera è stremata, hanno chiesto aiuto alle Ong perché non ce la fanno a soccorrere tutti. Hanno turni in mare di 30 ore e devono uscire in continuazione perché le emergenze sono tantissime. Con il vento di maestrale le persone si avventurano con barchini di metallo che navigano a pelo d’acqua, appena c’è un’onda si capovolgono. Meno male che ci sono anche le Ong”.