La chiamata alla perfezione in Cristo, come dice S. Paolo, o alla santità come ha ribadito il Concilio Vaticano II, è stata appannaggio per lungo tempo della formazione dei consacrati e dei presbiteri. Oggi si è fatto più chiaro a tutti che la vocazione del cristiano è vocazione alla santità, quale risposta alla chiamata di Gesù, in coerenza al proprio battesimo per testimoniarLo sulle strade del mondo: da qui nasce l’urgenza dell’accompagnamento spirituale nel contesto della formazione cristiana. Essa appartiene alla prassi evangelica e coinvolge ogni vocazione. A ben vedere, è proprio la famiglia il luogo primario di una potenza educativa formidabile con tutti gli “alleati” educativi (scuole cattoliche, oratori, comunità ecclesiale…ecc.). Essa, per ritrovare sé stessa, deve rifarsi al “modello originario” che si trova in Dio stesso, “nel mistero trinitario della sua vita. Il ‘Noi’ divino costituisce il modello eterno del ‘noi’ umano; di quel ‘noi’ innanzitutto che è formato dall’uomo e dalla donna, creati ad immagine e somiglianza divina”. C’è infatti una certa similitudine tra l’unione delle Persone divine e la comunione matrimoniale e familiare (cf. Gs 24). Il primo compito della famiglia cristiana è testimoniare il dono “originario”, compito non facile in questo nostro tempo dove vengono provocazioni e proposte forme di vita familiare che assomigliano a una convivenza provvisoria, a un contratto di lavoro, ad una comunanza di vita che si può iniziare ed interrompere secondo il proprio arbitrio.
Educare non è, quindi, un compito “dei tempi liberi”, in aggiunta agli altri. È compito fondamentale di grandissima importanza.
Giustamente si è parlato di “educazione basata sull’esempio”: e poiché, in realtà, ci sono davvero tanti esempi cattivi, l’attività educativa sembra condannata all’insuccesso. Il mondo del giovane è un mondo singolare, nella cui visuale ci sono figure che totalizzano l’esperienza umana, mentre altre sono viste come “sfondo”. L’importante è che ci siano pochissimi esempi magari, ma talmente insigni da essere, in qualche modo, irrefutabili: a tal proposito sembra opportuno richiamare il fulgido esempio di “vocazione” matrimoniale (cf. Lg 35 e Gs 49) dei beati coniugi Luigi e Maria Beltrame Quattrocchi, prima coppia di sposi cristiani nella storia della Chiesa, ad essere elevata agli onori degli altari da San Giovanni Paolo II il 21 ottobre del 2001; una quasi cinquantennale esperienza matrimoniale di laici impegnati, che si studiarono d’ attuare in sé come potevano, quelle grandi divine realtà che il Vangelo insegna. Scriveva la beata Maria Beltrame Quattrocchi: “Quanto i nostri giovani hanno bisogno di qualcuno che introduca, che accompagni con amore e rispetto, chiarezza e autorevolezza, a orientarsi nella realtà intera!”. Un’esperienza, quella dei beati Coniugi, segnata da una totale comunione di vita, di preghiera e di ricerca di Dio, in una progressiva e condivisa crescita interiore nella vita di fede, in una totale disponibilità di servizio operoso, tutta orientata all’attuazione dei valori cristiani di famiglia e della formazione spirituale e morale dei figli. Così la beata Maria Beltrame descrive la loro vita:“… Serena, intellettuale, interessante, intima e riposante. Mai fatua, mai triste o pessimista. Vita… animata sempre dalla gioia della conquista che portava con sé ogni minuto, con la gioia di stare insieme sempre nuova”.
La vita di coppia è a pieno titolo “sequela Christi” – “chi vuol venire dietro a me…” – per cui la responsabilità non va chiusa all’interno della dinamica d’amore dei due. L’uomo e la donna, cioè, non rispondono solo all’appello d’amore che nasce dal loro cuore, l’uno di fronte all’altra, ma sono coinvolti anche dall’Amore, dal rispondere con il loro amore all’Altro, a Colui che è morto e risorto e da cui ogni paternità e maternità prende nome in cielo e in terra (cf. Ef. 3,15). Un’ultima riflessione ci viene poi, dal transito della beata Maria Beltrame Quattrocchi avvenuto il 26 agosto 1965 nel giardino del loro Villino denominato: “La Madonnina” a Serravalle di Bibbiena (Ar), a mezzogiorno, subito dopo la recita dell’Angelus, la beata Maria si spegne serenamente tra le braccia dell’amata figlia Enrichetta. Quale luminoso esempio di soprannaturale ragione dell’accettazione della morte come volontà di Dio, accolta serenamente nel calore e nella tenerezza della famiglia, benedicendo infinitamente Dio che in “Gesù Benedetto tante prove ci ha dato del suo preziosissimo amore” avendo, come scrive ancora la beata Maria, “su ciascuno di noi disegni di carità”.
Noi adulti di oggi, soprattutto noi adulti cristiani, ci assumiamo una terribile responsabilità se non siamo capaci di trasmettere ai giovani il patrimonio di sapienza e di fede, che ha illuminato la nostra generazione e la generazione dei nostri genitori e quella dei nostri nonni. A nessuno sfugge la gravità della sfida che stiamo vivendo: la nostra generazione non ha il diritto di spegnere la lampada che ha illuminato il cammino di tantissima gente, dando senso alla famiglia e al lavoro e al dolore e alla morte stessa. Sì, alla morte stessa! Pensate come un tempo morivano i nostri anziani… Nel calore della casa, nell’abbraccio degli affetti, nella luce rasserenante della fede. E oggi? Non ho il coraggio di descrivere come si muore oggi! Dobbiamo con decisione ritrovare la polla d’acqua limpida che si è momentaneamente sommersa: dobbiamo ritrovarla per riassaporare il gusto della vita e per trasmettere ai giovani la bellezza della vita sentita come vocazione e come missione stupenda d’amore, proprio come hanno fatto i beati i coniugi Luigi e Maria Beltrame.
Mi piace concludere questa breve riflessione con le parole pronunciate in occasione della beatificazione dei coniugi Beltrame da San Giovanni Paolo II: “Hanno vissuto una vita ordinaria in modo straordinario. Tra le gioie e le preoccupazioni di una vita normale, hanno saputo realizzare un’esistenza straordinariamente ricca di spiritualità. Care famiglie, oggi abbiamo una singolare conferma che il cammino di santità compiuto insieme come coppia è possibile, è bello, è straordinariamente fecondo ed è fondamentale per il bene della famiglia, della Chiesa e della società”.