“La questione della coppia e delle parole dialettiche che si completano l’un l’altra è insita in noi. Nel racconto della creazione del mondo, incontriamo il ‘vizio’ ebraico di iniziare dalle due creazioni, dalla separazione. Per me la cosa più importante è la divisione, che dà diritto a un’esistenza autonoma, completa ma complementare”. Lo ha detto Sarah Kaminski, scrittrice, traduttrice, docente all’Università di Torino, entrando nel merito del binomio differenza-uguaglianza, durante la tavola rotonda “Per la giustizia di genere”, che si è svolta durante la 59ª edizione della sessione di formazione ecumenica, promossa ad Assisi dal Sae.
La docente ha portato degli esempi di lettura, dicendo che occorre cautela nel leggere la Bibbia. Nel primo racconto della creazione (Gen 1,27), “Dio disse ‘faremo l’uomo nella nostra immagine, nel nostro modo di essere’. Chi sono i noi? Il midrash dice che Dio ha discusso con gli angeli e ha cancellato i volti precedenti perché non gli piacevano. Ha creato nella sua immagine e non vado a discutere la questione di Dio femminile. Per me è un insieme di identità, del tutto astratto. C’è scritto: ha creato nella sua immagine, maschio e femmina. Due parole in tensione e in armonia”.
Passando poi al secondo racconto (Gen 2,18), Kaminski ha proposto una traduzione alternativa per l’affermazione divina che è generalmente tradotta: “Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”. “Il termine utilizzato è ezer kenegdo: un aiuto ‘contro’ di lui, in dialettica con lui, a complemento di lui. I rabbini discutono il fatto che la donna può essere un aiuto per l’uomo, ma può essere anche un elemento in opposizione assoluta a lui. Grossman spiega che in tutta la storia ebraica le donne ufficialmente avevano uno status minoritario, ma c’erano lettere e documenti in cui gli uomini si lamentavano del potere delle donne a casa e della loro gestione degli affari. Le definiscono ribelli e sfacciate. In teoria erano minoritarie, di fatto le donne valevano”.
Kaminski ha parlato, poi, della memoria, che nella lingua ebraica è un termine maschile: zachor, zachar. “Le donne sono una memoria narrata all’interno della casa sino a una certa età, poi negli scritti e nei commenti cessano di essere un elemento importante. La memoria va attuata dalle donne in due momenti basilari della memoria ebraica. Il primo è Shabbat, ‘luogo’ che accoglie l’emanazione femminile di Dio, la Shekhinah, ma il ruolo delle donne si ferma alla soglia di Shabbat, alla sera. La donna è molto presente, ma da lì in poi le normative sono riferite all’uomo. Il secondo momento è Pesach, la Pasqua ebraica, dove la preparazione della festa è affidata alle mani della donna, ma la conduzione del Seder sarà affidata all’uomo. La legge ebraica dice che sono momenti importanti perché non si deve solo ricordare ma custodire (shomer). Il momento dello zachor e shomer, le due candele per accogliere lo Shabbat, è tramandato attraverso le donne. Dal 1920 nella terra d’Israele le donne hanno il diritto al voto ma tante storiche dimostrano che le donne sono finite poi in cucina. Ci volevano gli anni ’80 per dare uguaglianza agli stipendi, nei posti di lavoro, nella politica”.