Suicidio assistito: mons. Moraglia (Venezia), “dobbiamo accompagnare la morte, non aiutare a provocarla”

“Di fronte al momento della morte ritengo, anzitutto, doveroso un atteggiamento di rispetto, peraltro dovuto sempre ad ogni persona”. Esordisce così il patriarca di Venezia, mons. Francesco Moraglia, in una breve riflessione a commento della morte nel Trevigiano, attraverso la procedura del suicidio assistito, di una donna di 78 anni, malata di cancro, alla quale l’Asl di Treviso ha fornito su sua richiesta il farmaco letale. La donna, che aveva scelto il nome di “Gloria” nella sua battaglia legale durata alcuni mesi, si è autosomministrata il farmaco ed è morta domenica scorsa, 23 luglio.
“Innanzi alla richiesta e alla scelta di essere aiutata a morire seguendo la strada del suicidio assistito – che manifesta una precisa e caratterizzata visione dell’uomo, della vita, della libertà e delle relazioni sociali – sarebbe bene piuttosto indicare con chiarezza la via di chi accompagna e si lascia accompagnare, fino all’ultimo momento, attraverso gli strumenti e le accresciute possibilità oggi offerte dalle cure palliative, da sostenere e incentivare sempre più, e in grado di gestire efficacemente la soglia del dolore”, prosegue il presule. Esse, spiega il patriarca di Venezia, “costituiscono un metodo dignitoso ed eticamente percorribile perché orientato decisamente alla centralità della persona e ad un’attenta relazione di cura”. Moraglia fa sue le parole di Papa Francesco all’udienza generale del 9 febbraio 2022): “Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio. La vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti”.

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