Il Cantiere del rischio educativo con l’ascolto degli adolescenti del “muretto”, del bar, degli ambienti sportivi e l’obiettivo di allacciare legami per favorire confronti e far emergere messaggi o desideri è stato al centro del Cammino sinodale di quest’anno per la diocesi di Cassano all’Jonio. Particolare attenzione al fenomeno criminale della ‘ndrangheta nel Cantiere della giustizia e della legalità della diocesi di Oppido Mamertina-Palmi.
“La nostra diocesi di Cassano allo Jonio è partita da un dato sociologico e demografico: se un tempo l’occasione per dire addio alla parrocchia era la Cresima, ora l’età si è abbassata. Non tutti terminano l’iniziazione cristiana e, pertanto, si registra una sorta di ‘vuoto pastorale’ all’interno delle nostre comunità parrocchiali. Tanti giovani vanno a studiare fuori, mentre pochi sono coloro che si riversano nella Provincia di appartenenza dove ha sede un polo universitario”. Parte da questo scenario don Giovanni Maurello, referente per la diocesi di Cassano all’Jonio del Cammino sinodale delle Chiese in Italia, per raccontare al Sir il lavoro ne IV Cantiere dedicato al rischio educativo. “Se i giovani vanno via e i preadolescenti e gli adolescenti, in numero significativo, sono presenti, cosa fa la Chiesa e come prova ad intercettare le loro domande, i loro desideri e i loro messaggi?”, è stata la domanda, “realistica e pastoralmente preoccupante”, che la Chiesa di Cassano all’Jonio si è posta. Per don Maurello, “la scelta del Cantiere del ‘rischio educativo’ ha messo in evidenza non solo le difficoltà ‘ad intra’ della comunità cristiana, ma anche gli interrogativi – direi il ‘grido’ e i ‘rimproveri’ – provenienti da questa fascia significativa, che di fatto sarà il futuro della società e della Chiesa”.
Per il tavolo sinodale sul rischio educativo non ci sono state domande “preconfezionate”, ma solo “inviti all’ascolto e, soprattutto, a chiedere cosa gli adolescenti pensassero della fede e della Chiesa”. Su questo fronte “una difficoltà rilevante” è stata proprio “l’individuazione degli animatori, degli ascoltatori, dei ‘provocatori’, dei ‘suscitatori’ di domande di senso e pertinenti”. “La Chiesa tutta dovrebbe favorire una formazione specifica di tutti gli animatori e i formatori di questa fascia di età, che sembrano essere pochi e anche ‘invisibili’, quasi spaventati di fronte alla vastità delle differenze culturali e psicologiche”, osserva il sacerdote. Ma “cosa lo Spirito dice alla Chiesa degli adolescenti?”.
“Questo benedetto mondo interiore” potrebbe essere “lo slogan con cui possiamo sintetizzare il mondo degli adolescenti.
Il vissuto di questi ragazzi è un vissuto che, considerato di primo acchito, fa spaventare perché consegna situazioni interiori che non ci saremmo mai aspettati: solitudine, vuoto di senso, cinismo, una concezione della vita pragmatica e, non di rado, abulica e accidiosa”.
I legami con famiglia, scuola, parrocchia “sembrano essere luoghi di disaffezione: li si vive, a volte, anche opportunisticamente e non ci si lascia interrogare profondamente”.
Ma qui, per don Giovanni, “la rilettura va rimandata alla verifica della qualità di vita degli adulti, particolarmente in crisi. Sentire dagli adolescenti che di certe cose si parla soprattutto con gli amici e non con ‘gli adulti’ è significativo di una crisi di relazione e di dialogo, che non favorisce la trasmissione né della fede né dei saperi essenziali del vivere”.
Quello degli adolescenti sembra “un mondo ‘chiuso’, quasi ‘autoreferenziale’. Un mondo, cioè, che osserva, scruta, si costruisce il proprio pensiero alla luce delle proprie convinzioni.
Gli adolescenti ascoltati ci sembrano dire: ‘Una vita ce l’abbiamo e vorremmo viverla’”.
La domanda su Dio “è nascosta, forse offuscata a motivo sia della secolarizzazione degli adulti sia della cultura dell’indifferenza che il mondo ha verso di Lui. Eppure c’è, perché si crede in un ‘essere superiore’, non di rado ‘colpevole’ della morte di amici o di parenti, il che ci fa riflettere sull’evangelizzazione mancata anche in queste occasioni.
Gesù è affascinante per tanti, anche se la mediazione offerta non è loro gradita;
dicono di conoscerlo, talvolta a modo loro, ritenendo di Lui le dimensioni umane del suo insegnamento; forse dovremmo chiederci come abbiamo evangelizzato negli anni precedenti. Ci sentiamo di dire che la fede colta è una fede in germe che il desiderio di credere, tra le righe, non si nasconde”. Non sono mancati i pensieri sulla Chiesa, “accusata di essere rigida, poco comprensiva, spesso giudice e, quindi, moralistica verso atteggiamenti e costumi che per loro, ormai, sono routine quotidiana. Vorrebbero, sì, dialogo, ma senza risposte pronte”. Feed-back anche dai dialoghi del muretto, promossi soprattutto dagli stessi adolescenti con i propri coetanei: “C’è chi ha dialogato con libertà e c’è, anche, chi non ha voluto favorire alcun confronto, palesando un pregiudizio di fondo”.
Da rileggere dal punto di vista pastorale la necessità avanzata da tutti di “linguaggi nuovi trincerandosi dietro la frase ‘usate frasi che non comprendiamo e non comprendete le nostre’. Hanno parlato di Chiesa; hanno raccontato delle cose belle vissute nelle parrocchie; ricordano dei preti, a volte noiosi, a volte simpatici, a volte pesanti, a volte attenti. Hanno parlato dei propri catechisti come persone generose e benevoli. Ma dietro tutto ciò c’è una profonda domanda di verità, di senso, di compagnia, di accompagnamento. Di Gesù sanno che è il salvatore, ma non proprio ‘il loro’ e, talvolta, gli dicono ‘ma perché non fa qualcosa’”. Don Maurello esprime l’auspicio che il Cantiere sul rischio educativo “stimoli adulti – educatori e formatori e quanti interagiscono con il processo di crescita – appassionati e folli, segnati da quella paolina ‘gelosia divina’ tutta preoccupata di coloro che annunciano ai nostri ragazzi un ‘vangelo diverso’. Ma tale cantiere ha anche evidenziato un messaggio di fondo: i nostri preadolescenti non hanno bisogno di parole, ma semplicemente di persone che camminino con loro e non si stanchino di accompagnarli in mezzo alle fatiche e alle stranezze dei loro atteggiamenti”.
“Il biennio della fase narrativa del Cammino sinodale delle Chiese in Italia nella diocesi di Oppido Mamertina-Palmi è stato caratterizzato dalle tappe conclusive del 1° Sinodo diocesano (11 ottobre 2020-7 dicembre 2022), fortemente voluto dal nostro vescovo Francesco Milito, e dall’esperienza dei Cantieri di Betania che hanno naturalmente assorbito le tematiche presenti nel Libro del Sinodo”, afferma don Domenico Loiacono, referente del Cammino sinodale per la diocesi di Oppido Mamertina-Palmi. “Il 4° Cantiere specifico per la nostra Chiesa locale – tenutosi il 7 giugno 2023 nel più ampio contesto del 3° Congresso eucaristico diocesano – si è configurato come Cantiere della giustizia e della legalità a motivo della piaga sociale della ’ndrangheta, che nel nostro territorio determina una forte mancanza di giustizia e, quindi, l’illegalità diffusa. Il Cantiere si è tenuto in modalità laboratoriale nelle quattro vicarie della diocesi sulle parti del Libro del Sinodo riguardanti la sfida della ’ndrangheta, la pastorale del lavoro e della salute e la cura del creato”, chiarisce il sacerdote, precisando che “nel Cantiere è emerso che le difficoltà sul fronte della giustizia e della legalità riguardano innanzitutto i diritti negati nell’ambito lavorativo come la mancata garanzia del giusto salario e di adeguata sicurezza. Altrettanto deleterio è poi il comportamento di coloro che danneggiano il tessuto sociale non adempiendo adeguatamente i doveri lavorativi. La violazione della giustizia si verifica, inoltre, quando si cerca una raccomandazione anche per quelli che sono diritti garantiti dallo Stato”.
Durante il Cantiere si è poi confermato ciò che è stato fortemente sottolineato durante il Sinodo diocesano: “La consapevolezza che
la ’ndrangheta incide fortemente nel tessuto socio-economico del territorio.
La mentalità ’ndranghetista, infatti, influenza fortemente la vita sociale, basando il suo condizionamento sia sull’intimidazione, attraverso la forza delle armi, che sul ruolo economico raggiunto attraverso il riciclaggio del denaro sporco: gli individui e le comunità, il mercato economico e la politica, le attività imprenditoriali e lo sport risentono inesorabilmente della sua presenza”. Durante i lavori del Cantiere “attenzione specifica è stata dedicata anche alla pastorale delle carceri, sottolineando l’importanza di pensare al recupero della persona reclusa e alle famiglie dei detenuti – attraverso sostegno psicologico e spirituale – anche quando termina il periodo della reclusione”. Don Loiacono avverte: “Nel nostro contesto sociale, inoltre, sono gravi le violazioni ai diritti del malato legati alla criminalità: corruzione, favoritismi, sprechi, frodi, malasanità, lunghezza delle liste di attesa per un semplice esame di routine. Anche la cura del creato è spesso ostacolata da una mentalità radicata che – per favorire pochi – deturpa la nostra Casa comune attraverso un inquinamento selvaggio e costante della terra, dell’acqua e dell’aria”. Grazie al 1° Sinodo diocesano e ai lavori del Cantiere, conclude il sacerdote, “si è accresciuta una maggiore consapevolezza legata alla promozione della giustizia. Il cammino a cui la nostra Chiesa è chiamata per sradicare la mentalità ’ndranghetista consiste in una preghiera profonda e sincera come fonte di conversione, in una capillare formazione sulla Dottrina sociale della Chiesa e in un’efficace comunicazione e collaborazione tra le iniziative di bene presenti sul territorio. In tal senso, la Caritas e gli uffici per la pastorale del lavoro e della salute rivestono un ruolo particolarmente importante”.