“Immaginare un futuro per la comunità cristiana nelle “aree interne” implica una visione circa la risoluzione attuale del rapporto tra concentrazione e prossimità. Si propone di partire dal necessario primato della concentrazione, capace di sostenere quelle dinamiche di innovazione che restituiscano alla Chiesa capacità missionaria e formativa per le nuove generazioni. Ciò richiederà individuazione di spazi e tempi ‘intensivi’ in cui assicurare proposte di qualità, grazie a risorse materiali e umane sufficienti. Anche l’apporto delle nuove tecnologie potrà contribuire a tali dinamiche. È ovviamente necessario predisporre una nuova relazione tra Chiesa e territorio, che superi la centralità della parrocchia come intesa finora. Ciò non significa tuttavia, abbandonare l’opportuna cura per la prossimità, non solo per il valore evangelico della ‘pietra scartata’, ma per valorizzare le potenzialità relazionali ed esperienziali legate ai piccoli e piccolissimi centri. A tale scopo, occorrerà istituire nuove forme e figure ministeriali dedicate alla prossimità”. Questo, in sintesi, il contenuto della relazione proposta da mons. Paolo Giulietti, arcivescovo di Lucca, alla 72ª Settimana nazionale di aggiornamento pastorale sul tema “‘Andò in fretta verso la montagna’ – Esisterà ancora nei piccoli paesi la comunità cristiana che segue e annuncia Cristo?” in corso da ieri nella città toscana per iniziativa del Centro di orientamento pastorale (Cop) sul tema “‘Andò in fretta verso la montagna’ – Esisterà ancora nei piccoli paesi la comunità cristiana che segue e annuncia Cristo?”.
La riflessione del presule ha preso le mosse prendendo in considerazione due “coordinate pastorali”: la concentrazione, che risolve la complessità e la dispersione riunendo le persone e utilizzando tempi e spazi centralizzati; e la prossimità, che consiste nell’assecondare la dispersione, portando le risorse accanto ad ogni situazione presente sul territorio. Per l’arcivescovo, “l’operatività passa attraverso l’individuazione dei ‘poli’ attorno ai quali organizzare la concentrazione; essi dovranno essere davvero centrali, anche rispetto ai sistemi di istituzioni, trasporti e servizi, con una sufficienza consistenza demografica, con la presenza di ministri ordinati e di ministerialità laicale, con una sufficiente articolazione ecclesiale (associazioni, opere, religiosi…) e dotazione strutturale. Una volta individuati i poli, si dovrà investire sulla loro adeguatezza, anche ripensando l’assetto del patrimonio ecclesiale sul territorio”. “Ciò – ha spiegato – implica la redazione di un progetto, capace di supportare una riforma che deve essere profonda e rapida più che altrove (degrado assai veloce) e che guidi e non subisca le mutazioni, orientando la Chiesa alla missione. Servono scelte decise, anche se faticose, con ‘gradualità impaziente’ e attenzione alla complessità”. Secondo mons. Giulietti, “potrebbe esser molto utile, in questi anni di ricerca e riforma, un osservatorio-laboratorio, che faccia monitoraggio delle tante esperienze in atto, le valuti e ne selezioni le migliori, standardizzandole affinché siano replicabili, e magari che accompagni chi desidera attivarle”. E, poiché “le aree interne non sono solo una questione ecclesiale-pastorale”, per l’arcivescovo è importante sviluppare alleanze: con la scuola, per una cultura orientata al rimanere; con le istituzioni, per servizi sufficienti e diffusi; con le associazioni, per una comunità solidale; e con le aziende, per una formazione che dia ai giovani opportunità.