“È importante per Gesù svelare l’identità di Giovanni, perché essa è legata alla sua stessa persona. Un legame che è essenziale per ciascuno di noi, perché anche la nostra ultima verità è il nostro essere per gli altri, contro ogni chiuso individualismo, oggi imperante, che pensa invece di definirsi nella diversità dall’altro e perfino nell’opposizione a lui”. Lo ha affermato il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, nell’omelia della solennità della natività di san Giovanni Battista, patrono di Firenze. “Peraltro, l’importanza che Gesù annette alla determinazione del vero volto del Battista è da questi ricambiata”, ha proseguito Betori. “Anch’egli ha bisogno di conoscere l’identità di Gesù per dare senso alla propria missione. […] E anche in questo, quel che Giovanni chiede è fondamentale anche per noi, perché solo nel riconoscimento di Gesù come l’inviato dal Padre trae luce e orientamento la nostra esistenza”.
“Chi sei tu, Giovanni? Chi sei tu, Gesù? Chi sei tu, fratello e sorella che incroci la mia strada e diventi parte dell’orizzonte della mia vita? La festa di san Giovanni Battista – ha osservato il cardinale – pone al centro della nostra riflessione il tema dell’identità. E lo fa in un contesto culturale che invece sembra porre in crisi il concetto del sé. Viviamo in un mondo in cui le identità si decostruiscono e si rimodellano a seconda delle circostanze; un mondo in cui le identità diventano fluide a fronte della durezza della realtà, un mondo di identità ambigue, pronte a nascondersi dietro un nickname o usando un soggetto anonimo che copre poteri non dichiarabili. Questa cultura del mai ultimamente definito registra la perdita dell’identità personale a vantaggio del potere attribuito all’incrocio degli algoritmi nel grande gioco della comunicazione e soprattutto del mercato. Nel contesto sociale rischiamo ormai di essere più numeri che persone”.
Betori ha quindi sottolineato: “gli scenari che si aprono davanti a questi fronti di crisi esigono una forte risposta, che contrasti la figura antropologica oggi dominante, con tutte le ricadute che essa produce a livello familiare, nella natura della genitorialità, nei rapporti sociali, negli stessi equilibri di dialogo e di pace tra i popoli. Questa risposta non può che essere anzitutto la riconquista del concetto di persona umana nella sua integralità che unisce il sé alla relazione, così che nessuno possa determinarsi se non a partire da una limpida coscienza e al tempo stesso da un’apertura generosa all’altro. Vale per ciascuno di noi, vale per la nostra convivenza ecclesiale e civile, per la Chiesa fiorentina e per la città”.
Dopo aver ricordato don Lorenzo Milani e citato Papa Francesco, il porporato ha osservato: “infine, ma per importanza al di sopra di tutto, quanto ho fin qui proposto conduce a porre il nostro sguardo su Kataleya, la bambina che in questi giorni è al centro dei nostri cuori, con la speranza di poterla presto riabbracciare e riportare all’affetto dei suoi genitori. Mi ha colpito che in questi giorni di trepidante attesa i nostri giornali abbiano aperto i titoli dei pezzi dedicati alla sua scomparsa con il suo nome: Kata. È Kata che cerchiamo e per la cui salvezza preghiamo, non un essere umano anonimo. Ne siamo tutti consapevoli. Ma quanti bambini e adulti abitano la nostra città e non hanno nome per noi? Abbiamo bisogno di un prenderci cura gli uni degli altri, soprattutto dei più fragili, come persone, come un progetto di Dio, un suo dono. Giovanni, ‘Dono del Signore’, ci aiuti a questa conversione al servizio della restituzione dell’umano, in tutte le occasioni e in tutte le sue forme”.