“L’influenza di Pascal fu indiscutibilmente immensa: da Giacomo Leopardi ad Arthur Schopenhauer, da Alessandro Manzoni a Martin Heidegger… pochi sono i pensatori e i filosofi dal XVII secolo in poi che non si siano confrontati con la sua antropologia”. Lo ha detto il card. José Tolentino de Mendonça, prefetto del Dicastero per la Cultura e l’Educazione, nella conferenza stampa di presentazione, in sala stampa vaticana, della lettera apostolica “Sublimitas et miseria hominis”, scritta dal Papa in occasione del quarto centenario della nascita del filosofo francese. “La sua opera più conosciuta, ‘Les pensées’ – una raccolta di frammenti che egli non poté terminare e che fu pubblica nel 1670, è sicuramente uno dei grandi capolavori del pensiero occidentale”, ha osservato il cardinale: “Le analogie in esse utilizzate, come quella del roseau pensant – ‘L’uomo non è che un giunco, il più debole della natura, ma è un giunco pensante’ – e le intuizioni da lui sinteticamente e quasi cripticamente annotate – ‘Il cuore ha delle ragioni che la ragione non conosce’ – sono state così tanto commentate da entrare nell’immaginazione e nel linguaggio comune”. “Davanti a tale statura, il Santo Padre, da sempre innamorato dei Pensieri – ne conosce e ne cita vari a memoria – e profondo ammiratore di Pascal – che va detto, a onore del vero, si scagliò contro un ramo della Compagnia di Gesù in acerrimi dibattiti – ha deciso di onorare la sua figura con una Lettera Apostolica”, ha spiegato de Tolentino de Mendonça, annunciando che questo pomeriggio tale lettera apostolica “sarà oggetto di un dibattito d’approfondimento, che il Dicastero per la Cultura e l’Educazione organizzerà con il Centro San Luigi dei Francesi”. Nella lettera odierna, ha spiegato il cardinale, “sono stati sottolineati da Papa Francesco alcuni aspetti, forse meno conosciuti, del grande filosofo. In primis la sua squisita carità verso i poveri e gli ammalati”. “La vita Pascal fu costellata da pratici gesti di carità e d’amore verso i più deboli e verso gli infermi e i sofferenti”, ha osservato Tolentino de Mendonça: “Questo suo comportamento, che egli non pubblicizzò, fu sicuramente colorato dalla sua propria esperienza del dolore e della malattia – basti pensare alla sua preghiera ‘per il buon uso delle malattie’ del 1659 – ma fu anche la ricerca, nelle cose concrete, di un modo di esprimere la sua gratitudine per la Grazia divina che era immeritatamente entrata in quello che lui riteneva la sua piccolezza umana”. Per il porporato, “questo dimostra che Pascal non separò mai la fede in Dio dalle opere concrete in favore dei fratelli, e aiuta a capire la complessità delle sue relazioni con le teorie gianseniste, che ebbe modo di conoscere avendo letto l’Augustinus di Giansenio e frequentando il circolo di Port-Royal”. “Pascal fu profondamente influenzato da Sant’Agostino d’Ippona ma non fu mai un uomo di partito – confessò di sé stesso: ‘Sono solo… non sono di Port-Royal’ – e ebbe una sua personale interpretazione del giansenismo”, ha precisato Tolentino de Mendonça: “È in questa chiave di lettura che vanno interpretate le lettere Provinciales – i 18 brani che i giansenisti gli chiesero di scrivere in difesa delle loro posizioni, consci della capacità che aveva di convincere con la sua retorica potente e tagliente – ed è anche in questa chiave che vanno considerate le sue posizioni pseudo-predestinazioniste ispirate dagli ultimi scritti di Sant’Agostino stesso”. “La consapevolezza e il riconoscimento della primazia della Grazia divina, fu per Pascal, anzitutto di ordine personale, interiore, si potrebbe dire, intimistico e mistico”, ha precisato il cardinale: “La filosofia, anche nelle sue espressioni più ammirevoli era, secondo lui, utile, ma non forniva una risposta al dramma dell’uomo. Pascal fu un vero realista che seppe confrontarsi con la miseria e la grandezza dell’umano. Le risposte a questa miseria reale e questa sete di grandezza dell’uomo doveva trovarsi in una rivelazione individuale di un Dio personale”. Dalla mistica esperienza della sua conversione “scaturirono i suoi concetti di orgoglio e di umiltà e, soprattutto, la categoria del ‘cuore’ che gli fu talmente cara. Papa Francesco direbbe che in quella notta, egli si rese conto della sua «coscienza isolata e autoreferenziale”. Ancora oggi, ha concluso il porporato, Pascal è “un modello di riferimento per affrontare le complessità dell’uomo moderno, dilaniato fra le verità scientifiche e teologiche, che trova nell’essenza della sua propria natura, illuminata dalla fede, quella certezza che Pascal difese ardentemente nelle sue Pensées: ‘Non mi cercheresti se non mi avessi già trovato’”.