“A coloro che, in Parlamento e nel governo, spingono per una revisione delle norme in materia di tortura con l’obiettivo, neanche mascherato, di abolirle, la cronaca dà contro. A Verona, un ispettore e quattro agenti di polizia sono sotto indagine per atti criminali che senza dubbio rientrano nella definizione di tortura, potenzialmente aggravata dall’odio razziale, perpetrati ai danni di persone, per lo più di origine straniera, sottoposte alla loro custodia. Inoltre, vi sono indagini in corso su un numero maggiore di individui che si sospetta abbiano cercato di coprire tali atti di tortura”: è il commento di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty international Italia, nella sua rubrica sul portale Articolo21. “Sembra di essere tornati alla caserma di Bolzaneto, 22 anni fa. Agli indagati si contestano comportamenti ‘gravemente lesivi della dignità delle persone’. Una formula giuridicamente corretta ma che proviamo a tradurre così: uso di persone come strofinacci per asciugare la propria urina, vanterie sui pugni assestati sul volto di persone inermi, competizioni a chi picchiava di più”, prosegue Noury. “Nel 2001, in Italia, c’era chi sosteneva la necessità di una norma sulla tortura: non per vietarla, ma per regolamentarla, in risposta alle sfide senza precedenti del periodo post-11 settembre. Ventidue anni dopo, da Verona arriva la conferma che la tortura serve non a scopo di sicurezza – non è mai servita né servirà mai – ma solo per esibire potere su coloro che ne sono privi. È un’espressione di odio, nascosta dietro una divisa. È un mezzo per annientare e umiliare. Quello che è accaduto a Verona, dunque, ci insegna due lezioni: il reato di tortura deve restare in vigore per punire chi si macchia di uno dei più gravi crimini internazionali, ma anche per tutelare la maggior parte degli operatori delle forze di polizia, compresi coloro che hanno contribuito agli sviluppi dell’indagine in corso. Non ci sono solo ‘mele marce’ ma Verona dimostra che non c’è, almeno ancora, un ‘sistema marcio’”, conclude Noury.