Lorenzo nel 2022 ha iniziato la “messa alla prova”, al Samaritano, dopo essere stato trovato alla guida in stato di ebbrezza: “Adesso ho una vita più tranquilla. Ho scoperto tante piccole cose cui non facevo caso”. Boy, arrivato in Italia dal Gambia, a Casa Stenone ha iniziato le cure per la leucemia: “Adesso vorrei aiutare gli anziani, loro mi hanno aiutato tanto”. Nel periodo del suo impegno, il San Paolino ha cambiato volto: “Non c’era più il vecchio concetto di dormitorio, ma quello di casa”, racconta Marzio Mori che ha diretto negli anni scorsi la Casa della solidarietà. Nomi, storie, volti, sguardi e vite di 50 anni di attività della Caritas di Firenze sono stati raccolti in un volume, edito da Toscana Oggi. Un segno di un percorso raccontato non con un lungo elenco di attività svolte, ma attraverso le parole e i volti dei diretti interessati, delle persone che, per un centro periodo, hanno avuto bisogno del sostegno della Caritas e di chi, operatori e volontari, si è messo a disposizione per aiutarli.
Le testimonianze dei protagonisti. La tecnica narrativa ruota attorno attorno alle testimonianze di chi, col proprio impegno, ha segnato i primi 50 anni di storia della Caritas di Firenze. Lo spiega don Fabio Marella, vicedirettore dell’organismo pastorale: “Abbiamo pensato che fosse bello lasciare traccia delle persone che abbiamo aiutato e sono state aiutate. In questo modo, indirettamente riusciamo a raccontare anche l’opera. In questi ultimi 8 mesi, ho cominciato a fare una ricerca storica, ricostruendo la cronologia dei cinquant’anni. E sono andato a ricercare le persone che hanno scritto la nostra storia. Alcune di queste ora sono anche molto anziane”. Un lavoro di ricerca da cui emerge un dato: “Inizialmente, quando è nata, il 15 maggio 1973, la Caritas vi era una gestione molto artigianale e basata sul cuore. La professionalità è arrivata dopo, come in tutte le cose. Noi abbiamo cominciato praticamente in occasione del terremoto del Friuli. In quel momento, alcune persone si sono messe in gioco e hanno detto: ‘Noi dobbiamo andare ad aiutare le persone nel Nord Italia’. E quindi sono partiti i primi gruppi di volontari. Da lì è nata la Caritas di Firenze all’esterno. Il primo atto, invece, su Firenze, è stata l’accoglienza dei rifugiati in Italia dal Vietnam”. Da quel momento cominciò anche l’opera di professionalizzazione. Con l’impiego di medici e traduttori.
La storia dei vietnamiti Tai e Muoi. “Vivevamo a Saigon, nel Vietnam del Sud. Dopo lo scoppio della guerra non ci siamo sentiti più tranquilli e abbiamo deciso di partire. Grazie a Caritas siamo potuti venire in Italia”. Così Tai e Muoi raccontano la fuga dal loro Paese di origine e l’arrivo a Firenze. “Dopo più di un mese, Caritas ci ha trovato una casa a Montelupo e un lavoro. Un anno dopo abbiamo aperto un ristorante di cucina cinese-vietnamita a Empoli. Caritas e gli amici di Montelupo ci hanno dato una grande mano”. Il loro racconto è stato uno di quelli individuati da don Fabio. “Sono proprio queste le storie di umanità che fanno da filo conduttore – racconta il vicedirettore -. Ci siamo inseriti nei bisogni e nelle emergenze. Ogni persona che assistiamo ha bisogno di beni materiali – sicuramente della mensa, dove prepariamo 400 pasti al giorno -. Ma ogni essere umano ha bisogno anche di altro. Ha bisogno di amicizia, di sentire una persona vicino, di essere ascoltati. Nei nostri centri di ascolto – e la storia lo dimostra -, da quando sono stati aperti, cerchiamo di risolvere i problemi, ma anche di trovare una persona che si metta a sedere con calma e dimostri interesse. Di questo c’è bisogno”.
Sidorella e i suoi giorni a Firenze. “L’altra cosa che reputo filo conduttore della Caritas è che bisogna risolvere i problemi immediati. L’esigenza non è soltanto quella di coprire il bisogno, ma di far partire le persone, farle volare”, osserva don Fabio. Parole con le quali intende indicare l’impegno a “supportarle nel momento del bisogno, ma dargli poi gli strumenti per rifarsi una vita”. “E questo credo che sia fondamentale. Con molti lo si può fare. Con chi non è possibile, bisogna accompagnare queste persone nell’ultimo periodo della loro esistenza”. Il vicedirettore ricorda, a questo punto, Sidorella, una ragazza albanese. “Io ero appena arrivato alla Caritas – racconta -, quando lei era arrivata dall’Albania per curarsi: è rimasta per diverso tempo in una delle nostre case dove accogliamo i senza fissa dimora ammalati. Noi, l’abbiamo accompagnata nell’ultimo periodo della sua vita, aiutandola a vivere al meglio delle sue condizioni. Lei era amante della musica classica: l’abbiamo accompagnata al nuovo teatro del Maggio musicale. Lì ha assistito a un concerto e, tra l’altro, ha anche incontrato il maestro Zubin Mehta”.
Condividere il cammino. Un incontro quello tra le persone e Caritas, come dimostrano gli ultimi 50 anni, che ha un senso profondo: “Percorrere un pezzo di strada assieme. Alcuni poi proseguono da soli, altri invece hanno bisogno sempre di un supporto. Queste storie testimoniano ciò. E poi, dall’altra parte, c’è chi ha sostenute queste persone: sia i dipendenti sia i tanti volontari -. Persone innamorate dell’essere umano. Alcuni lo fanno per fede, noi siamo la Caritas diocesana e facciamo parte della Chiesa; altri magari non hanno la fede, ma lo fanno perché credono nell’essere umano”.