“Sappiamo come il Santo Padre sia attento a quelle che lui chiama le periferie. La sua presenza al nostro fianco è un incoraggiamento perché riconosce che, anche in una porzione di Chiesa così piccola, c’è comunque qualcosa di importante e di bello. Credo che per la Chiesa in Mongolia sia soprattutto la freschezza di una fede sorgiva, piena di stupore”. Raggiunto telefonicamente dal Sir, così il card. Giorgio Marengo, prefetto apostolico di Ulan Bator, commenta a caldo l’annuncio ufficiale del viaggio dato oggi dal direttore della Sala stampa vaticana. Papa Francesco si recherà in Mongolia dal 31 agosto al 4 settembre. Sarà il suo 43° viaggio apostolico internazionale. Era stato Papa Francesco ad anticipare in diverse occasioni il suo desiderio di recarsi in questo Paese che si trova nel cuore di grandi steppe e al confine tra Russia e Cina. Ora ci sono le date e l’ufficialità. “L’attesa e soprattutto la speranza c’erano”, dice il cardinale. “Il Santo Padre aveva parlato di questa visita apostolica in varie occasioni, a cominciare dal viaggio di ritorno dalla Repubblica democratica del Congo e dal Sud Sudan sull’aereo. È chiaro che c’era una speranza viva ma ora l’annuncio è ufficiale e quindi è una notizia che già sta facendo il giro della nostra piccola Chiesa in Mongolia con tanta gioia e gratitudine. Il fatto di avere qui tra noi il successore di San Pietro è il segno che il Papa ha cura di questa piccola porzione di popolo di Dio. È pertanto un motivo di grande incoraggiamento e di gioia profonda per tutti i fedeli della Mongolia. Sono tanti i messaggi che sto ricevendo in queste ore”. “Siamo una Chiesa piccola e quindi va da sé che il dialogo è una delle componenti più importanti della nostra vita”, aggiunge Marengo presentando la Chiesa in Mongolia. “È un dialogo a 360 gradi, con persone che arrivano da altre tradizioni religiose ma anche con chi non si riconosce in alcuna pratica religiosa. Una delle sfide è dunque per noi quella di continuare su questa strada che porta a tessere rapporti di fiducia e di amicizia che si costruiscono nel tempo”. “A me piace molto l’espressione presa da un grande missionario e pastore salesiano indiano che è mons. Menamparampil: sussurrare il Vangelo al cuore, in questo caso, della Mongolia. Per me è una espressione simbolica che dice – in linea con il tratto culturale dei mongoli che è quello di parlare sottovoce – di una amicizia e di una relazione di fiducia reciproca che si condivide e si approfondisce, e dentro alle quali avviene l’annuncio, la condivisione di fede, la testimonianza”.