Sostenere la campagna “Italia ripensaci” e chiedere, perciò, l’adesione dell’Italia al trattato Onu di abolizione delle armi nucleari del 2017 assume un particolare significato se tale istanza arriva da un numero crescente di realtà dell’associazionismo cattolico che hanno indetto una conferenza stampa presso la Camera dei deputati il primo giugno in nome di una “Repubblica libera dalla guerra e dalle armi nucleari”. Un gesto volutamente promosso alla vigilia del 2 giugno, un giorno di parate militari in un clima di pesante riarmo giustificato dalla tragedia del conflitto in Ucraina.
La guerra in corso nel cuore dell’Europa si avvicina rapidamente allo scontro decisivo, più volte annunciato, e può involvere in qualsiasi momento in un conflitto mondiale, così come avvenne nel Vecchio Continente nel 1914. Il sonnambulismo dei ceti dirigenti mandò un’intera generazione verso un mattatoio che secondo una certa storiografia non fu “inutile strage” perché permise la nascita della “Nazione”. Oggi, tuttavia, viviamo, dopo l’orrore del 1945, abbattutosi su Hiroshima e Nagasaki, sul “crinale apocalittico della storia” come ci ha detto Giorgio La Pira per indicare la vertigine dell’autodistruzione dell’umanità resa possibile dall’arma nucleare. Migliaia di ordigni micidiali sono già pronti per essere lanciati da un club ristretto di Paesi in un clima di incertezza tale da suscitare l’allarme della Federazione degli scienziati americani che ci avvertono di stare tutti a pochi secondi dal buio della mezzanotte nucleare.
Secondo una simulazione elaborata dall’Università statunitense di Princeton (il Plan A consultabile sul web) in caso di conflitto nucleare in Europa si conterebbe un numero di vittime pari a 85,3 milioni in soli 45 minuti.
Lo studio prevede l’inevitabile escalation innescata dall’uso iniziale di bombe tattiche, quelle cioè definite meno letali e dagli effetti limitati. Una prospettiva poco probabile come dice in un’intervista Carlo Jean, già addetto militare di Cossiga ed esperto stratega della Luiss, tranne poi ipotizzare in caso di “un colpo di testa di Putin” una risposta occidentale che “può variare enormemente: da uno scoppio dimostrativo sul Mar Nero o in zona poco abitata a un impiego di un centinaio di testate contro le forze russe”.
Oltre alla comprensibile rimozione dal dibattito pubblico di uno scenario così terrificante, esiste una lettura più profonda suggerita da Papa Francesco nell’invito a riscoprire la lezione di Thomas Merton, il monaco trappista, scomparso nel 1968, che aveva colto l’intima cifra di un’era dove il posto di Dio è stato occupato dall’idolo della bomba e della sua pretesa di salvezza offerta ad un’umanità smarrita e impaurita. Sappiamo che la costante denuncia di Francesco contro gli interessi dei fabbricanti di armi, la detenzione e non solo l’uso delle armi nucleari, è condivisa dalle comunità ecclesiali, associazioni e movimenti. La conferenza stampa del primo giugno 2023 è un percorso nuovo nato il 2 giugno del 2021, passato attraverso un’assemblea a Roma il 26 febbraio 2022 e oggetto, il 18 febbraio 2023 a Bologna, di un momento pubblico di dialogo sul “che fare” alla presenza e con l’intervento del presidente della Cei, card. Matteo Zuppi, recentemente incaricato dal Papa per la missione di pace in Ucraina. Non è facile mettere in discussione la fedeltà dell’Italia alla dottrina Nato che rifiuta anche solo di parlare del trattato di messa al bando delle armi nucleari approvato nel 2017 in sede Onu dai Paesi estranei al club atomico e ai suoi alleati. Siamo una piattaforma logistica militare collocata nel centro del Mediterraneo con due basi aree, ad Aviano e Ghedi, che ospitano decine di bombe nucleari.
Pretendere di cambiare il corso degli eventi può sembrare velleitario, anche perché non esiste una robusta sponda parlamentare. Eppure è espressione di un’estrema ragionevolezza che chiede all’Italia di farsi capofila di una presa di coscienza mondiale per scongiurare il buio della mezzanotte nucleare. Spes contra Spem.
* redattore di Città Nuova