“Mettere corpo e vita nelle nostre parole, perché il modo in cui comunichiamo il nostro messaggio vale più del messaggio stesso, è la prima forma di comunicazione. A volte il viso, lo sguardo, l’intensità con cui si dicono le cose comunicano più di quanto dicano le parole. Troppo spesso sentiamo andare in onda parole che feriscono ed uccidono. E quando non appaiono letali, di frequente sono parole non abitate, vuote, retoriche”. Ad affermarlo è il vescovo di Trento, mons. Lauro Tisi, nel suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che si celebra domani. “I giovani – spiega il vescovo che è anche presidente della Commissioni Comunicazioni della Conferenza episcopale Triveneto – ci spronano di continuo perché ci invitano a silenziare le nostre risposte preconfezionate. Cercano ascolto, non ricette stantie o pie formule. I figli della rivoluzione digitale credono profondamente nell’amicizia, non si accontentano del riflesso di uno schermo”. Lo stesso avviene nel mondo della sofferenza: “Là dove un’esistenza si sta spegnendo, magari in giovane età, o nelle famiglie toccate dal dolore indicibile per la perdita di un figlio – dice il presule –, sento fiorire la speranza di chi sa apprezzare la vita, soprattutto quand’essa sembra inesorabilmente sfuggire. Non bastano le parole per descrivere questi spiragli di risurrezione. Serve solo mettere in gioco il cuore”. “È questo lo stile che deve accompagnare anche il Cammino sinodale”, aggiunge mons. Tisi per il quale “questa nuova tappa dell’operazione ascolto, mirata soprattutto ad intercettare mondi esterni alla realtà ecclesiale, potrà dare risultati apprezzabili solo se ognuno si sentirà interpellato a narrare in profondità la propria esperienza, aprendo il cuore. Per incontrare altri cuori che depongano l’arma del giudizio, del disfattismo e della mestizia, atteggiamenti così diffusi negli ambienti ecclesiali. Perché il cuore batte solo al ritmo del sorriso”.