Giovani sempre più lontani dalla fede. Mons. Chomali: “Non sorprende. Non hanno visto testimoni credibili”

I giovani che si dicono cattolici sono stati superati, per la prima volta, da coloro che non professano alcuna religione. La notizia arriva dal Cile, dove ha suscitato clamore la ricerca dell’Università Cattolica sulla religione, pubblicata nei giorni scorsi. Numeri dirompenti, anche se va tenuto conto che il Cile è da tempo il Paese più secolarizzato dell’America Latina dopo l’Uruguay e che i recenti scandali sugli abusi sessuali, che hanno coinvolto la Chiesa cilena in modo particolarmente intenso e doloroso, hanno dato un duro colpo alla credibilità della Chiesa cattolica.

(Foto diocesi di Lucca)

I giovani che si dicono cattolici sono stati superati, per la prima volta, da coloro che non professano alcuna religione. La notizia arriva dal Cile, dove ha suscitato clamore la ricerca dell’Università Cattolica sulla religione, pubblicata nei giorni scorsi, nell’ambito del progetto “Bicentenario 2022”, attraverso il quale la Pontificia Università Cattolica del Cile monitora in modo puntuale i principali mutamenti sociali. Numeri dirompenti, anche se va tenuto conto che il Cile è da tempo il Paese più secolarizzato dell’America Latina dopo l’Uruguay e che i recenti scandali sugli abusi sessuali, che hanno coinvolto la Chiesa cilena in modo particolarmente intenso e doloroso, hanno dato un duro colpo alla credibilità della Chiesa cattolica. “Infatti – dice al Sir mons. Fernando Chomali, arcivescovo di Concepcion e vicepresidente della Conferenza episcopale cilena – il risultato dell’indagine non mi sorprende, visto che la fede non viene trasmessa ai giovani in casa, né per osmosi culturale. A un gran numero di giovani che si dichiarano non cattolici non è mai stato parlato di Gesù Cristo”. Quanto agli scandali, “in un gruppo di giovani, hanno certamente inciso, e molto fortemente, ma la questione del calo del numero di cattolici è precedente agli scandali”.

I numeri. L’indagine si basa su un campione di 1.906 persone nelle aree urbane del Paese. Per la prima volta nella storia dell’indagine, che viene condotta dal 2006, i cattolici di questa fascia d’età (31%) sono superati dalle persone che dicono di non professare alcuna religione, che raggiungono il 41%. Allo stesso modo, nel campione generale (riguardante, cioè, tutte le età), il 48% delle persone ha dichiarato di essere cattolico, il 17% di essere evangelico e il 30% di non essere affatto religioso.

Molte sorprese arrivano anche dalle domande rispetto alle singole credenze, nelle quali emerge, per esempio, che il 59% degli intervistati ha dichiarato di credere nel karma, secondo cui “le persone pagano in una vita per ciò che hanno fatto in un’altra”. Il 28% degli intervistati crede nell’astrologia, cioè “che la posizione delle stelle e dei pianeti possa influenzare la vita”, e nello stesso periodo la fiducia nello yoga ha raggiunto il 36%.

Crisi d’appartenenza e di lungo periodo. “Quella che emerge – spiega il sociologo dell’Università Cattolica del Cile Eduardo Valenzuela, che ha coordinato la ricerca – è soprattutto una crisi d’appartenenza alla Chiesa cattolica. Questo non significa che i giovani non siano credenti, molti di loro, per esempio, credono nella divinità di Gesù Cristo, o nella Vergine Maria, ma non si sentono di appartenere alla Chiesa. È una credenza che rimane al margine. È una situazione simile a quella che è già stata osservata, per esempio, in vari contesti europei”. A tutto questo si affianca una specificità cilena rispetto alla gran parte del Continente americano. E questo, secondo il docente, “nonostante la Chiesa cilena sia stata all’altezza della situazione negli anni della dittatura, senza avere rapporti con il generale Pinochet. Sicuramente hanno inciso anche gli scandali degli abusi, che hanno iniziato a verificarsi mentre molti attuali giovani si avvicinavano alla fede. Dopo gli scandali, la Chiesa ha avuto nella popolazione una caduta vertiginosa della fiducia che veniva riposta in essa, e ha perso il prestigio accumulato negli anni della dittatura. Ma si tratta, soprattutto, di una crisi culturale di lungo periodo”.

Secondo Valenzuela, appare oggi strutturale “il divorzio tra i giovani e la Chiesa-Magistero. Lo si nota soprattutto sul tema della sessualità, rispetto alla quale le nuove generazioni si dissociano dalle indicazioni della Chiesa con percentuali enormi. Il secondo punto è quello della partecipazione delle donne alla vita della Chiesa, l’attuale situazione, per i giovani, è semplicemente incomprensibile”. Difficile pensare a inversioni di tendenza nel breve periodo, anche se nel recente magistero di Papa Francesco ci sono state delle aperture importanti su temi molto sentiti dai giovani, come quello dell’ambiente, del rispetto del creato”. In generale, “i giovani non sono apatici come si vorrebbe far credere, sono invece interessati alla politica. Ma questo interesse non tocca il livello istituzionale, non c’è fiducia nei partiti. Questo tema della disaffezione verso tutto ciò che è istituzionale e normativo è trasversale”. In tale contesto, “la Chiesa non può che essere più aperta e accogliente, non centrata sugli obblighi”.

Sono mancati i testimoni credibili. Continua l’arcivescovo Chomali, trovando diversi punti di contatto con il sociologo: “Viviamo in una società utilitaristica in cui tutto si misura in termini di utilità o meno. Il fatto, però, che molti giovani non siano cattolici non significa che non credano, e spesso lasciano questo compito ai nonni. Ciò che credo abbia influenzato la non credenza è che molti giovani non hanno visto testimoni credibili da seguire. Inoltre, oggi il definitivo, come il matrimonio e il sacerdozio, è in ritirata in una società in cui si vive secondo la logica della prova e dell’errore, senza prospettiva futura e senza memoria del passato”.

Una realtà rispetto alla quale la Chiesa sembra spesso impreparata: “La verità è che siamo perplessi e non sappiamo bene cosa fare – prosegue mons. Chomali -. A Concepción abbiamo scelto di accoglierli, di ascoltarli, di far loro capire il loro grande valore e soprattutto di guidarli verso una vita significativa. È una fase di pre-evangelizzazione. I segni di speranza non mancano, io li vedo nei volontari. Di fronte al dolore, si mostrano solidali e si commuovono per la sofferenza degli altri. Ciò significa che il loro cuore è intatto nella gentilezza e nella generosità”.

Conclude l’arcivescovo: “I giovani danno più credito a ciò che vedono che a ciò che sentono e, in un contesto corrotto e violento come quello in cui viviamo, è facile che si facciano prendere dal pessimismo e dalla disperazione. Inoltre, i giovani cileni hanno più risorse e benessere dei loro genitori e nonni, ma sono molto soli. Questa è una ferita che impedisce loro di aprirsi alla possibilità di credere in un Dio buono e misericordioso”.

 

*giornalista de “La vita del popolo”

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