“Nessuno fa mai abbastanza sul lavoro, tutti dobbiamo tentare di fare di più”. Mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, ha risposto così alle domande dei giornalisti sull’azione del governo in questo ambito. margine della presentazione dei nuovi spot dell’otto per mille, in Filmoteca vaticana. Il segretario generale della Cei, alla vigilia del Primo Maggio, ha defiito quella italiana “una situazione davvero grave, soprattutto se si tieneconto del fatto che il lavoro non è solo ciò che permette di sostentare la propria famiglia, ma è ciò che rendere degno l’uomo, dà senso alla sua vita”. Enunciando i fattori principali che “preoccupano moltissimo” i vescovi italiani, Baturi ha fatto notare che “l’avanzamento delle tecnologie, se non ben gestito, mette ai margini alcuni tipi di lavoratori, delocalizza il lavoro o punta ad una manodopera a basso presso con scarse garanzie”. “Bisogna cambiare logica”, il monito del vescovo: “il bene comune non deve incentrarsi sulla massimizzazione dei consumi, ma basarsi sulla centralità dell’uomo e del suo lavoro”. “Il tema del lavoro, come quello della famiglia, è fondante per l’assetto della nostra società e per la dignità umana”, l’appello del segretario della Cei: “Non si fa mai abbastanza, bisogna collaborare su un tema così decisivo. Spero in un patto affinché la centralità del lavoro guadagni la sensibilità di tutti”. Interrogato in merito al rischio di una sostituzione della Chiesa allo Stato, in materia di politiche attive per il lavoro e nel momento in cui si dibatte sull’eliminazione del reddito di cittadinanza, Baturi ha risposto: “La logica della Chiesa è quella del Buon Samaritano: piegarsi sull’uomo che ha bisogno è inevitabile per venire incontro alle sue necessità, ma un atto di carità non è mai puntiforme, coinvolge l’idea stessa di società. Se non c’è possibilità di incidere sullo sviluppo, l’atto di carità si rivela asfittico”. Citando l’attività della Caritas a favore delle povertà, Baturi ha fatto notare che “occorre differenziare tra le politiche attive di inserimento o reinserimento al lavoro, laddove è possibile, e la necessità di aiutare i poveri cronicizzati. C’è una povertà intergenerazionale che sta crescendo e che rende più difficile riscattarsi, soprattutto per i giovani. Per questo bisogna collegare la povertà economica alla povertà educativa, scommettendo anche sull’educazione e l’istruzione”.