L’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di La Spezia (Cnr-Ismar) ha coordinato uno studio internazionale che ha applicato per la prima volta la combinazione di due approcci, normalmente usati nello sviluppo tecnologico, alla quantificazione della plastica dispersa nell’ambiente, implementando i metodi attualmente in uso per “contare” le materie plastiche e caratterizzarle, osservandone i cambiamenti e le tendenze nel tempo.
La ricerca, pubblicata su “Nature Reviews”, è stata condotta nell’ambito del progetto europeo European quality Controlled Harmonization Assuring Reproducible Monitoring and assessment of plastic pollution), finanziato tramite il programma Horizon 2020 e a cui partecipa, per l’Italia, anche l’Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale (Ogs): un progetto che riunisce 15 partner da tutta Europa con l’obiettivo di mettere a punto metodologie armonizzate per il monitoraggio e la valutazione di macro, micro e nanoplastiche nell’ambiente. La diversità di approcci oggi in uso, infatti, ha stimolato la necessità di un sistema per validarli. In sostanza, per raccogliere dati comparabili, è necessario un certo livello di organizzazione.
L’approccio individuato si basa sul concetto di technological readiness level – Trl, una metodologia nata per valutare il grado di maturità di una tecnologia, sviluppato per la prima volta dalla Nasa per il settore spaziale – applicato a pipeline analitiche riproducibili per il monitoraggio della plastica (Prl).
“Abbiamo analizzato circa 3.000 articoli scientifici sul monitoraggio dell’inquinamento da plastica come fossero elementi di una Reproducible Analytical Pipeline (Rap): questa prevede delle fasi ben precise, ovvero: progettazione del campionamento, raccolta del campione, preparazione del campione, rilevamento analitico, quantificazione e comunicazione dei dati. Nel nostro caso, come si evince dalla figura, mentre i primi tre passaggi dipendono dalla matrice di campionamento, gli altri dipendono dalle dimensioni della plastica”, spiega Stefano Aliani (Cnr-Ismar). “Dopo una prima scrematura che ha portato il numero di articoli analizzati a 2.500 – comunque una quantità enorme di dati -, gli articoli sono stati suddivisi in circa 50 diversi parametri oggettivi e quantificabili: ad esempio, volume del campione, limite di rilevamento, dimensione delle particelle di plastica, utilizzo o meno di metodi di digestione, metodo di rilevamento, unità di misura eccetera. Quindi è stata valutato quanto ogni elemento è tecnologicamente maturo usando l’indice di Trl: se il livello è alto, significa che i metodi di conteggio utilizzati nei vari studi sono in grado di fornire dati di qualità, e quindi possono essere impiegato dai decisori con sicurezza”, prosegue il ricercatore.
Secondo i ricercatori, la combinazione di queste due tecniche, per la prima volta applicata alla quantificazione dell’inquinamento da plastica, è uno strumento potenzialmente valido per ogni tipo di monitoraggio ambientale, che può efficacemente supportare i processi decisionali per la definizione di linee guida univoche basandosi su metodi riproducibili, armonizzati e comparabili.
“Il mondo lavora per ratificare il Trattato globale sulla plastica e la comunità scientifica mondiale lavora per sostenere il percorso sviluppando metodi robusti, semplici e adattabili per affrontare questo problema complesso. Infatti, tutte le valutazioni ambientali necessitano di validi metodi di monitoraggio, selezionati in base a criteri oggettivi ben definiti e che siano soprattutto costruiti su conoscenze scientifiche convalidate. Un approccio che acceleri i processi decisionali per il monitoraggio e la regolamentazione sosterrà anche elevati standard scientifici e un terreno comune per promuovere i migliori metodi di soluzione”, conclude Aliani.