“Anche per noi c’è stata una prima unzione, cominciata con una chiamata d’amore che ci ha rapito il cuore. Per essa abbiamo lasciato gli ormeggi e su quell’entusiasmo genuino è scesa la forza dello Spirito, che ci ha consacrato. Poi, secondo i tempi di Dio, giunge per ciascuno la tappa pasquale, che segna il momento della verità. Ed è un momento di crisi, che ha varie forme”. Così il Papa, nell’omelia della Messa crismale, ha riassunto il significato della chiamata sacerdotale, nella liturgia del Giovedì Santo in cui per tradizione si rinnovano le promesse. “A tutti, prima o poi, succede di sperimentare delusioni, fatiche e debolezze, con l’ideale che sembra usurarsi fra le esigenze del reale, mentre subentra una certa abitudinarietà e alcune prove, prima difficili da immaginare, fanno apparire la fedeltà più scomoda rispetto a un tempo”, l’analisi di Francesco, secondo il quale “questa tappa rappresenta un crinale decisivo per chi ha ricevuto l’unzione”: “Si può uscirne male, planando verso una certa mediocrità, trascinandosi stanchi in una ‘normalità’ dove si insinuano tre tentazioni pericolose: quella del compromesso, per cui ci si accontenta di ciò che si può fare; quella dei surrogati, per cui si tenta di ‘ricaricarsi’ con altro rispetto alla nostra unzione; quella dello scoraggiamento, per cui, scontenti, si va avanti per inerzia”. “Ed ecco il grande rischio”, il grido d’allarme del Papa: “mentre restano intatte le apparenze – io sono sacerdote, io sono prete – ci si ripiega su di sé e si tira a campare svogliati; la fragranza dell’unzione non profuma più la vita e il cuore non si dilata ma si restringe, avvolto nel disincanto”. “E’ un distillato”; ha aggiunto a braccio: “quando il sacerdote lentamente va scivolando sul clericalismo, e il sacerdote si dimentica di essere pastore di popolo per diventare un chierico di Stato”. “Ma questa crisi può diventare anche la svolta del sacerdozio, la tappa decisiva della vita spirituale, in cui deve effettuarsi l’ultima scelta tra Gesù e il mondo, tra l’eroicità della carità e la mediocrità, tra la croce e un certo benessere, tra la santità e un’onesta fedeltà all’impegno religioso”, ha assicurato Francesco: “Tutti noi abbiamo bisogno di riflettere sul questo momento del sacerdozio. Tutti noi siamo chiamati a essere abbastanza umili per confessarci vinti dal Cristo umiliato e crocifisso, e per accettare di iniziare un nuovo cammino, quello dello Spirito, della fede e di un amore forte e senza illusioni. È il chairos in cui scoprire che il tutto non si riduce ad abbandonare la barca e le reti per seguire Gesù durante un certo tempo, ma richiede di andare sino al Calvario, di accoglierne la lezione e il frutto, e di andare con l’aiuto dello Spirito Santo sino alla fine di una vita che deve terminare nella perfezione della divina carità”.