Mercoledì 5 e giovedì 6 aprile, alle ore 21, al Teatro Belli (Piazza Sant’Apollonia 11/Trastevere), a Roma, andrà in scena lo spettacolo teatrale “Ricordate che eravate violini”, meditazione notturna per un voce sola con Giorgio Sales e con Lorenzo Sabene (liuto, tiorba, chitarra); drammaturgia e regia di Francesco d’Alfonso; disegno luci di Cecilia Sensi; consulenza tecnica di Francesco Bàrbera; voci fuori campo di Roberta Azzarone e Lorenzo Parrotto; contributi audio e video di Francesco Indelicato; testi liberamente tratti da Jorge Luis Borges, Jacopone da Todi, Khalil Gibran, Mario Luzi, Ada Merini, Éric-Emmanuel Schmitt; musiche di Johann Sebastian Bach, Fabrizio De Andrè, John Dowland, Steve Weiss, Stefano Landi, Morten Lauridsen, Alessandro Piccinini, Maurice Ravel, Ferdinando Valdambrini.
“Ecco dove mi ha condotto questo sogno: aspettare in questo giardino una morte che mi fa paura”. Nelle parole dello scrittore Eric-Emmanuel Schmitt, “un dubbio terribile coglie Gesù la sera del suo arresto: è davvero colui che gli ebrei attendono e che i profeti hanno annunciato?”, si legge nella sinossi dello spettacolo teatrale. La solitudine di Cristo, in una notte senza stelle, “è paradigma dell’umanità intera, che di fronte a eventi terribili si sente abbandonata dal Padre: l’uomo è solo come Cristo nell’orto degli ulivi. Il Figlio dell’Uomo sa che dovrà morire e, come in uno specchio, vede se stesso attraverso ciò che gli scrittori, i poeti e i musicisti diranno di lui. Pagine su pagine, note su note, una storia che attraversa la storia”.
“Perfino gli olivi piangevano/quella Notte, e le pietre/erano più pallide e immobili,/l’aria tremava tra ramo e ramo/quella Notte”: una notte che disperde gli uomini, una notte che sfocia in un giorno di morte. Il Figlio dell’uomo, “l’È, il Fu e il Sar࣠di cui parla Borges, muore “sospeso a una croce”.
Poi una grande pietra sigilla il sepolcro, e tutto sembra perduto. Ma una luce irrompe nelle tenebre, una speranza che diviene certezza. “Addio crocifissione, in me non c’è mai stato niente: sono soltanto un uomo risorto”, scrive Alda Merini.
Gli uomini sono salvi, “oppressi ed esaltati dal male” prima, sono ora liberi, redenti, testimoni di quell’amore gratuito che ha vinto la morte. Come violini, “pronti a suonare le ragioni del mondo”.
“Una scena spoglia, come fosse un mondo di cui si sono persi i contorni, in cui lo spazio e il tempo sono sospesi. Solo uno specchio sul fondo, e tutt’intorno, pagine, libri e spartiti – spiega una nota della regia -. Mentre si ode il canto funebre degli ebrei, il Kaddish, nella penombra si intravede una figura, accasciata a terra, coperta di fogli, segni di quella storia che da più di duemila anni viene raccontata in tutti gli angoli del pianeta, in tutte le culture, in tutte le religioni: la storia di Gesù di Nazareth. Sollevandosi, l’uomo si guarda allo specchio, vedendo in se stesso un crocifisso dalla tragica umanità, dal volto duro e inquieto. Ché il volto di Cristo è da cercare negli specchi ove si riflettono i visi umani”.
Da lì, “è tutto un susseguirsi di testi, tra prosa e poesia, in cui si snodano gli ultimi momenti della vita di Gesù – un uomo carne e sangue, umano fino al midollo – dalla solitudine del Getsemani, fino alla crocifissione e infine alla resurrezione: un caleidoscopico intreccio tra divino e umano, tra assoluto e contingente, tra eternità e temporalità”. Una sorta di “autobiografia” del Verbo – che è passato, presente e futuro – scandita dalla musica, che, come ha scritto Borges, è “misteriosa forma del tempo”.
Info: www.teatrobelli.it, info@teatrobelli.it, 06.5894875.