La “dottrina della scoperta” (Doctrine of Discovery), teoria servita per giustificare l’espropriazione degli indigeni da parte dei sovrani colonizzatori, “non fa parte dell’insegnamento della Chiesa cattolica”. È quanto si legge nella nota congiunta sulla “Dottrina della scoperta” dei Dicasteri per la Cultura e l’Educazione e per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, in cui si afferma che le bolle papali con le quali si facevano concessioni ai sovrani colonizzatori non sono mai diventate magistero, e dunque non fanno parte dell’insegnamento della Chiesa cattolica. “La Chiesa cattolica – si legge nel testo – è consapevole del fatto che il contenuto di questi documenti è stato manipolato a fini politici dalle potenze coloniali in competizione tra loro, per giustificare atti immorali contro le popolazioni indigene, compiuti talvolta senza l’opposizione delle autorità ecclesiastiche”. “È giusto riconoscere questi errori, riconoscere i terribili effetti delle politiche di assimilazione e il dolore provato dalle popolazioni indigene, e chiedere perdono”, il “mea culpa” del documento, in cui si citano le parole pronunciate da Papa Francesco nel corso del suo viaggio in Canada di otto mesi fa: “Mai più la comunità cristiana potrà lasciarsi contagiare dall’idea che una cultura sia superiore alle altre, o che sia legittimo ricorrere a modi di coercizione degli altri”. “Il magistero della Chiesa sostiene il rispetto dovuto a ogni essere umano”, ricordano i due dicasteri pontifici: “La Chiesa cattolica ripudia quindi quei concetti che non riconoscono i diritti umani intrinseci dei popoli indigeni, compresa quella che è diventata nota legalmente e politicamente come ‘dottrina della scoperta’”. Il concetto giuridico di “scoperta” è stato dibattuto dalle potenze coloniali a partire dal XVI secolo e ha trovato particolare espressione nella giurisprudenza ottocentesca dei tribunali di diversi Paesi, secondo cui la scoperta di terre da parte dei coloni concedeva il diritto esclusivo di estinguere, mediante acquisto o conquista, il titolo o il possesso di quelle terre da parte delle popolazioni indigene, si ricorda nella nota: alcuni studiosi hanno sostenuto che la base della suddetta “dottrina” si trova in diversi documenti papali, come le Bolle Dum Diversas (1452), Romanus Pontifex (1455) e Inter Caetera (1493).
“La ricerca storica dimostra chiaramente che i documenti papali in questione, scritti in un periodo storico specifico e legati a questioni politiche, non sono mai stati considerati espressioni della fede cattolica”, l’affermazione centrale del documento. “Numerose e ripetute dichiarazioni della Chiesa e dei Papi sostengono i diritti dei popoli indigeni”, si sottolinea infatti nel testo, citando come esempio la Sublimis Deus del 1537, in cui Papa Paolo III scrisse: “Definiamo e dichiariamo che i detti indiani e tutti gli altri popoli che in seguito saranno scoperti dai cristiani, non devono in alcun modo essere privati della loro libertà o del possesso dei loro beni, anche se non sono di fede cristiana; e che possono e devono, liberamente e legittimamente, godere della loro libertà e del possesso dei loro beni; né devono essere in alcun modo ridotti in schiavitù; se dovesse accadere il contrario, sarà nullo e non avrà alcun effetto”. Più recentemente, la solidarietà della Chiesa con i popoli indigeni ha dato origine al forte sostegno della Santa Sede ai principi contenuti nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni: “L’attuazione di questi principi migliorerebbe le condizioni di vita e aiuterebbe a proteggere i diritti dei popoli indigeni, oltre a facilitare il loro sviluppo nel rispetto della loro identità, lingua e cultura”, sostengono i due dicasteri pontifici. Grazie ai popoli indigeni, l’omaggio del documento, “la Chiesa ha acquisito una maggiore consapevolezza delle loro sofferenze, passate e presenti, dovute all’espropriazione delle loro terre, che considerano un dono sacro di Dio e dei loro antenati, e alle politiche di assimilazione forzata, promosse dalle autorità governative del tempo, volte a eliminare le loro culture indigene”. Come ha sottolineato Papa Francesco, “le loro sofferenze costituiscono un forte richiamo ad abbandonare la mentalità colonizzatrice e a camminare con loro fianco a fianco, nel rispetto reciproco e nel dialogo, riconoscendo i diritti e i valori culturali di tutti gli individui e i popoli”. A questo proposito, “la Chiesa si impegna ad accompagnare i popoli indigeni e a promuovere gli sforzi volti a favorire la riconciliazione e la guarigione”.