Processo in Vaticano: mons. Peña Parra, “una Via Crucis la trattativa sul Palazzo di Londra”

(Foto Vatican Media/SIR)

La trattativa sul palazzo di Londra “è stata proprio una Via Crucis, anzi una doppia Via Crucis: se il Signore era caduto tre volte, noi siamo caduti sei volte”. Lo ha detto mons. Edgar Peña Parra, nel corso della 51ª udienza del processo in corso in Vaticano sugli investimenti della Segreteria di Stato a Londra, interamente dedicata all’ascolto, come testimone, del Sostituto alla Segreteria di Stato, durata circa quattr’ore e mezza. La maggior parte dell’interrogatorio fatto dalle difese di diversi imputati ha fatto riferimento ad un suo memoriale del 2 giugno 2020. Peña Parra, entrato in carica il 15 ottobre 2018, ha detto di essere entrato subito in contatto con mons. Alberto Perlasca – il teste chiave del processo – che gli parlò di “una situazione difficile di uno dei fondi, e mi chiese di preparare un appunto per il Segretario di Stato e di parlare poi con il Santo Padre”. In proposito, Peña Parra ha riferito di aver avuto “frequenti contatti” con entrambi. “Al Papa ha spiegato – ho dato informazione generale, come si fa con il Santo Padre. Un riassunto, in sostanza, quello che era scritto nell’appunto per il cardinale Parolin”. Interpellato dal presidente del tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, se il 22 novembre, alla firma del contratto, fosse stato messo al corrente o meno da mons. Perlasca, Peña Parra ha risposto che lo venne a sapere soltanto due giorni dopo, il 24 novembre, precisando inoltre che Perlasca “non aveva potere di firma”. Al centro dell’interrogatorio, anche la trattativa con il finanziere Gianluigi Torzi. Peña Parra ha detto di aver studiato due documenti e di aver sollevato alcune perplessità: “Non sono un esperto di questioni finanziarie, ho stilato alcune domande usando il buon senso e un atteggiamento buon padre di famiglia”. Le risposte sono venute dall’avvocato Nicola Squillace, tra i dieci imputati nel processo, che Peña Parra – come ha detto lui stesso – credeva essere un loro avvocato e invece successivamente realizzò che lavorava per Torzi. Squillace, ha riferito Peña Parra, “rispose dando rassicurazioni. Io a quell’epoca avevo grande stima di mons. Perlasca, non avevo nessun dubbio su quello che diceva l’ufficio amministrativo. Avevamo la rassicurazione di Squillace e anche del cardinale Parolin.

fonte: Dicastero per la Comunicazione

Un mese dopo, tuttavia, il 22 dicembre il Papa mi convocò a Santa Marta con altre due persone – gli intermediari, Intendente e Milanese – e in quella sede venne fuori che avevamo acquisito delle scatole vuote. Si trattava di ricominciare di nuovo e perdere meno denaro possibile. Mi sono reso conto che tutto era stato un inganno. A gennaio dovevamo reagire, non potevamo fare altro”. Le strade possibili, ha riferito il teste, erano due: riacquistare il palazzo oppure – come suggeriva Perlasca – intentare una causa, non si è capito se civile o penale, progetto che però non arrivò mai in porto. “Sapevo che un processo a Londra presentava grandi rischi per noi – ha affermato Peña Parra – prima di tutto perché Torzi aveva ancora tutta la gestione del palazzo, e poi perché il palazzo non rendeva quanto valeva. Andammo andati avanti alla cieca: l’unica cosa possibile per noi risultò acquisire il Palazzo per farlo rendere, cosa quest’ultima che non si è mai verificata”. Peña Parra ha riferito che il 23 dicembre 2018, uscendo “disperato” da Santa Marta dopo essere stato ricevuto dal Papa, ebbe un incontro con il board della Gutt durante il quale Torzi gli disse che non voleva più avere niente a che fare con Perlasca e Tirabassi. “Mi ritrovai solo e non avevo altri se non il mio segretario, mons. Mauro Carlino”. Cominciò così una frenetica trattativa con Torzi perché la Segreteria di Stato tornasse in possesso delle mille azioni con diritto di voto appannaggio del finanziarie. “Si partì con una cifra da uno a 3 milioni di euro, a fine marzo erano diventati 25, poi sono scesi a 20 e alla fine si è concluso a 15 milioni euro”.
Peña Parra ha riferito che il rapporto con Torzi si chiuse “senza dare manleva”. Il sostituto alla Segreteria di Stato è stato sollecitato anche riguardo al mutuo chiesto allo Ior per finanziare l’acquisto del Palazzo di Londra: “Ci costava un milione di euro al mese, e questo non era possibile. Era un crimine usare i soldi della Segreteria di Stato per questo tipo di spese, e pagare interessi fuori dal Vaticano”. Si arriva così al 4 marzo, con la richiesta ufficiale del finanziamento allo Ior da parte del Segretario di Stato, Pietro Parolin. Peña Parra ha spiegato che alla Segreteria di Stato era sempre stata assicurata la disponibilità della somma richiesta, una disponibilità che però non si è mai concretizzata, tanto che la somma fu poi erogata dall’Apsa. “Non bisogna essere Einstein per capire che quel mutuo comportava problemi, non solo sul piano economico”, ha commentato Peña Parra: “Il mio problema era angoscia di buttare i soldi, e questo mi ha fatto male. Quando mi hanno detto di no, non c’è stata una crisi. Non ho mai avuto un problema con lo Ior o con persone dello Ior”. Interrogato dalla difesa di Torzi su una presunta attività di videosorveglianza verso quest’ultimo, il teste ha affermato: “Non ho mai avuto bisogno di spiare Torzi”, affermando di non aver mai disposto pedinamenti fisici. Nel controesame del Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi,  Peña Parra parlando del ruolo di Fabrizio Tirabassi – nei confronti del quale ha usato parole di stima, come per mons. Carlino – ha riferito di un incontro nel quale lo stesso Tirabassi gli disse che si era sentito “preso in giro”. Da chi, la domanda del Promotore di Giustizia? “C’era il gruppo di Torzi, Squillace e poi altri che non ricordo”.

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