“Non possiamo tacere di fronte alla disumanità della guerra e alla disumanità delle tante tragedie in cui la vita umana viene violata, non adeguatamente protetta, non accolta”. Lo ha detto il cardinale arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori, nell’omelia della messa celebrata oggi nella chiesa di San Carlo per pregare per le vittime della guerra in Ucraina e per invocare la pace nel Paese.”Parlando di morte – ha osservato il presule – non possiamo dimenticare la tragedia del terremoto in Turchia e Siria, come pure le ricorrenti stragi di poveri esseri umani, spesso piccoli fanciulli, che sono l’esito della mancata assunzione di responsabilità delle nazioni di fronte al fenomeno migratorio, spesso connesso anch’esso a scenari di guerra, come da ultimo nel naufragio a Cutro”.
“A queste prospettive di denuncia del male, di difesa della libertà, di conversione dei cuori, di cura dei fratelli, di attenzione alla dignità della persona, la pagina del vangelo aggiunge ulteriori motivi di lettura della storia”, ha fatto notare l’arcivescovo commentando la parabola della vigna e dei contadini infedeli. “La volontà di dominio e di possesso da parte di coloro a cui è affidata la vigna, ai responsabili della convivenza umana, giunge secondo la parabola evangelica fino al sangue, alla violenza e alla morte contro chi parla a nome di Dio e della sua verità sull’uomo, giunge fino all’uccisione del Figlio di Dio. Ma alla logica umana che chiederebbe lo sterminio di chi gli ha ucciso il Figlio, Dio Padre risponde con l’amore, trasformando quel Figlio che è stato rifiutato nella ‘pietra d’angolo’, la chiave di volta, il principio di comunione di un’umanità nuova, redenta dal suo sacrificio”. “L’amore di Dio, l’amore di Gesù, l’amore nostro è il motore che muove il mondo e dà senso anche alla sofferenza, alla croce. È lo sguardo che ci viene chiesto di assumere di fronte alle vittime della guerra, come pure a tutte le vittime del male. La fede ci nutre di speranza nella prova e ci chiede di vivere come fratelli per affermare il bene”, la conclusione di Betori.