Un progetto d’inserimento nel mondo del lavoro per persone con diversi tipi di disabilità. A promuoverlo è don Giovanni Battista Tillieci, sacerdote della diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, d’intesa con il Servizio nazionale Cei per la pastorale delle persone con disabilità e la diocesi. Il progetto, appena nato, coinvolgerà le diverse diocesi della Regione e verrà esteso a diversi ragazzi e aziende.
Come nasce l’idea?
Il progetto nasce da uno stimolo avuto da un seminario dello scorso novembre a Bologna organizzato dal Servizio nazionale Cei per la pastorale delle persone con disabilità. Da lì abbiamo capito che in Italia ci sono non pochi problemi relativi al non inserimento nel mondo del lavoro delle persone con disabilità. Questo è dato soprattutto da un punto di vista culturale, perché oltre alla norma legislativa, molte aziende non hanno gli strumenti necessari per capire il valore di un’assunzione di una persona con disabilità. Disabilità che peraltro spesso è intesa solo dal punto di vista motorio.
Come si sta evolvendo, in concreto, questo progetto?
Ci siamo mossi su due fronti. In primo luogo abbiamo cercato di far capire alle famiglie che un figlio disabile è impiegabile e può essere autonomo. Parimenti, abbiamo mostrato alle aziende come un ragazzo possa essere parte attiva e un valore aggiunto per la stessa.
Spesso si senti parlare di disabili, ma mai di persone con disabilità. Questi ragazzi hanno delle qualità e delle competenze lavorative difficilmente riscontrabili, è solo necessario trovare il lavoro più adatto alle loro caratteristiche.
Altro aspetto rilevante, che ho notato iniziando questo percorso, è che i ragazzi con disabilità hanno delle qualità umane come pochi. E una persona con queste sensibilità rende il luogo di lavoro sicuramente più piacevole. Il lavoro è fondamentale per questi ragazzi. Si deve fare un discernimento oggettivo. I genitori spesso sono iperprotettivi e le aziende diffidenti. Tutto questo fino all’inserimento lavorativo, che poi di fatto smentisce i pregiudizi.
La società civile e le istituzioni possono contribuire?
Sì. La scuola ad esempio è importantissima. L’inserimento di questi ragazzi parte dalla loro formazione. Quando si presenta un ragazzo con disabilità che ha le capacità per intraprendere e finire un percorso di studio, va incentivato. Allo stesso modo gli imprenditori vanno formati per far capire loro quante risorse può portare un giovane con disabilità, al di là degli obblighi di legge.
Non è solo un’opportunità per il ragazzo, ma per l’azienda.
È un progetto che parte da un territorio circoscritto, ma che mira a coinvolgere più realtà…
Nasce a livello regionale, perché si tratta di un percorso inter-diocesano avviato per ora dalla diocesi di Reggio Calabria, ma che si estenderà presto, abbiamo avuto un’audizione con i vescovi che hanno avallato l’iniziativa che prevede diversi accordi tra associazioni di categoria per un “Job in progress inclusive” per ragazzi con disabilità motorie, sensoriali o cognitive.
Per ora i ragazzi coinvolti sono una quindicina, ma sono destinati a crescere. Questi ragazzi sono in età lavorativa e noi li stiamo orientando al lavoro, creando una mentalità imprenditoriale a più livelli, tra aziende, lavoratori e famiglie. Naturalmente oltre all’orientamento ci sarà un percorso di assistenza e accompagnamento lavorativo per tutte le parti coinvolte.
In che modo?
Il ragazzo con disabilità naturalmente ha delle esigenze diverse, serve un’attenzione maggiore, ma una cosa è certa: migliora notevolmente la vita dell’azienda, sia creando un clima familiare e, se assunto in un contesto giusto e affine alle sue qualità, creando un vero e proprio valore aggiunto per l’economia aziendale.