“Solo un appello: non dimenticateci”. A lanciarlo, attraverso il Sir, è mons. Boutros Marayati, arcivescovo di Aleppo degli Armeni cattolici in Siria. Dalla seconda città siriana, la più colpita insieme a Latakia, Hama e Tartous, tra quelle controllate dal regime del presidente Assad, il presule ci tiene a descrivere i bisogni di una terra da 12 anni afflitta dalla guerra e ora anche dal terremoto. Ma precisa:
“La comunità armeno-cattolica di Aleppo non lamenta danni particolari alle sue strutture come invece era accaduto durante le fasi più cruente della guerra. Molti nostri fedeli hanno perso la casa. Così abbiamo organizzato, con delle squadre di tecnici, dei sopralluoghi per stabilire le case inagibili da ricostruire in toto e quelle da restaurare”. Come tutte le chiese aleppine anche quella armena ha aperto le porte all’accoglienza di chi ha perso tutto, non solo la casa, ma anche la speranza. “Ridare coraggio a questa gente è fondamentale” dice l’arcivescovo che non si sottrae ad alcune domande, le stesse, rivela, che “mi sento rivolgere dai nostri fedeli e non solo”.
Dodici anni, quasi tredici di guerra, poi la povertà, la pandemia, ora il terremoto. Che senso dare a tutto questo?
Sto cercando di dare un senso a tutte queste tragedie che si stanno verificando, ma non riesco. Ciò che riesco a comprendere è che dobbiamo fare sempre la volontà di Dio. Siamo armeni, siamo un popolo martire, abbiamo vissuto momenti molto più duri di questo. Stavolta abbiamo contro la natura, ma siamo il popolo della vita e
la sfida del terremoto non ci fa paura.
Possiamo rinascere. È questo che diciamo alla gente che incontriamo in strada, nei centri, durante le messe, ovunque ci troviamo. Non siamo fatti per restare sotto terra ma siamo fatti per rinascere, come Gesù che risorgendo ha vinto la morte.
Il terremoto ha aggravato la condizione già tragica del popolo siriano: viene da chiedersi perché Dio permette queste tragedie? Perché Dio non ha impedito il sisma?
Questa è la grande domanda che pervade ogni uomo e che troviamo anche nella Bibbia. L’uomo, davanti alla sofferenza, si chiede sempre il perché. Pensiamo a Giobbe che soffre senza colpa arrivando a perdere i suoi beni, i suoi figli fino ad essere colpito dalla malattia: è la sofferenza del giusto. È la tragedia dell’uomo che si sente debole e abbandonato da Dio. Ma sappiamo che non è così: Giobbe ci insegna che nel bene e nel male dobbiamo restare sempre attaccati a Lui.
La causa delle nostre tragedie, e in questo caso del terremoto, non è Dio ma siamo noi uomini che sfidiamo la natura.
In un’intervista ad una tv un terremotato di Antakya ha detto che non è il terremoto che uccide ma il cemento, le opere dell’uomo…
Quando si costruiscono case, palazzi, strutture non a regola d’arte poi se ne raccolgono i frutti.
Non è Dio responsabile della morte e della sofferenza di tanti uomini, donne, bambini ma l’uomo con il suo comportamento corrotto e sbagliato.
Pensiamo alla guerra in Siria, di cui nessuno più parla. Anche qui il comportamento dell’uomo, la logica degli interessi particolari e non la cura del bene comune stanno determinando sofferenze enormi.
Allora come reagire davanti a questa tragedia?
Con la solidarietà, restando uniti materialmente e spiritualmente nella consapevolezza che il Signore non ci abbandona. È quello che stiamo facendo dopo il sisma. Come Chiese abbiamo subito aperto le porte a tutti, dando aiuto a chi è nel bisogno. Ma è solo la fase dell’emergenza. Il lavoro più duro, come ho già detto, è rendere di nuovo agibili le case lesionate e ricostruire quelle crollate. Ma abbiamo un nemico potente che ci ostacola…
Chi è?
La paura. La gente è nelle strade, impaurita e sconvolta. In molti dormono nelle auto, nei saloni parrocchiali, nelle tende. Sono sempre vestiti perché vogliono farsi trovare pronti a fuggire ogni volta che arrivano le scosse. Si è diffusa la fobia e non vogliono rientrare in casa. Nemmeno durante la guerra abbiamo patito così tanto la paura. Stiamo cercando esperti, medici e psicologi per aiutare le persone ad affrontare questo stress cui non siamo abituati.
Oggi arriva in Siria il Prefetto del Dicastero per le Chiese orientali, mons. Claudio Gugerotti. Dopo quella del nunzio apostolico, card. Mario Zenari, un altro rappresentante pontificio viene ad Aleppo per esprimervi la vicinanza di Papa Francesco…
Per noi è davvero importante poter accogliere un rappresentante di Papa Francesco. Questa vicinanza ci incoraggia, non ci fa sentire soli, entra nel cuore della gente e ci aiuta a superare momenti davvero duri. Ma vorrei ricordare anche la presenza fattiva di tante organizzazioni cristiane e agenzie umanitarie. Il loro aiuto è vitale per noi. In questi ultimi anni ci siamo sentiti isolati dal mondo, la guerra in Siria non interessa più nessuno. Purtroppo è servito un tragico terremoto per far tornare a parlare di Siria.
In questi ultimi giorni da più parti si sono levati appelli per chiedere l’allentamento delle sanzioni internazionali alla Siria. Gli Usa hanno deciso di sospenderle per sei mesi così da facilitare l’arrivo di aiuti alla popolazione. Ne sentite gli effetti?
Da anni chiediamo di togliere le sanzioni. Non è un problema politico ma umanitario. Qui c’è gente che muore per mancanza di aiuti, di medicine, l’embargo è antiumano. Abbiamo sentito parlare dell’allentamento delle sanzioni da parte degli Usa ma, almeno adesso, fatichiamo a vederne gli effetti positivi.
Il 26 marzo la Chiesa italiana raccoglierà nelle parrocchie dei fondi da destinare alle popolazioni terremotate di Turchia e Siria.
Sentiamo molto l’affetto della Chiesa cattolica italiana. Ci è sempre stata vicina in questi anni e lo è ancora di più adesso, dopo il terremoto. Ringrazio il card. Matteo Zuppi, presidente della Cei, per questa vicinanza che infonde speranza ai siriani provati e impauriti. Mi sento di lanciare solo un appello: non dimenticateci”.