È trascorso un anno esatto da quando il 21 febbraio 2022 Vladimir Putin ha riconosciuto le autoproclamate repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk, nel Donbass. Tre giorni dopo, il 24 febbraio, i carri armati russi attraversavano il confine con l’Ucraina invadendo il territorio di uno stato indipendente e democratico, come in Europa non si vedeva dai tempi della Seconda guerra mondiale.
“Un anno fa, dopo il riconoscimento da parte della Russia delle due repubbliche autoproclamate di Donetsk e Lugansk, c’era un filo di speranza che la diplomazia avrebbe potuto trovare la chiave per evitare il conflitto. Dopo l’invasione, l’opportunità che tra Russia, Ucraina e Occidente si stabiliscano nuovi rapporti positivi è diventata estremamente difficile. Impossibile, in tempi brevi”. A dirlo è Aldo Ferrari, storico, docente di Ca’ Foscari e responsabile per l’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) del programma di ricerca in Russia, Caucaso e Asia Centrale.
Professore, è Putin il problema? Un altro leader in Russia potrebbe cambiare le cose?
Credo che si tenda a personalizzare troppo la questione. Putin è un leader che rappresenta la Russia per ciò che è. Questo non vuol dire che siano tutti d’accordo con lui: ci sono chiari segnali di scollamento tra il vertice e parte della società russa, ma la maggior parte dei russi corrisponde alla linea politica di Putin. Non credo che la sua caduta avverrebbe in una linea più filo europea, più democratica.
La guerra, però, non sta andando bene ai russi. Gli ucraini hanno saputo resistere e contrattaccare.
Quello della Russia al momento è un insuccesso che però la vede occupare parti dell’Ucraina. Putin non ha fatto una gran figura ma è possibile che riesca a vendere internamente come vittoria quello che in realtà non lo è. Ma se l’esito della guerra fosse una disastrosa sconfitta, cioè perdere la Crimea o i territori del Donbass, lo sconquasso interno potrebbe farlo cadere e sostituire da qualcuno magari più giovane che però va nella stessa direzione.
Ad un anno dall’inizio della guerra è atteso un nuovo discorso di Putin, forse per annunciare la nuova offensiva russa nel Donbass, dove nel frattempo gli ucraini hanno cominciato a riconquistare parti di territorio. L’Occidente sembra aver scelto la soluzione militare al conflitto, continuando a fornire armamenti all’Ucraina. È così?
I leader occidentali più avveduti esitano a spingere verso un conflitto più vasto. Ma è inutile nasconderci che noi europei stiamo obbedendo agli Usa. Stiamo sacrificando gran parte dei nostri interessi economici e la possibilità di avere una nostra linea politica-strategica indipendente facendo gli interessi strategici ed economici di Washington. E a Washington c’è un’ampia discussione tra chi spinge verso una totale disfatta russa, ovviamente a spese del popolo ucraino, e chi si domanda se il collasso della Russia non provocherebbe uno scenario di instabilità nel continente euroasiatico. Sempre che Mosca non ricorra ad armi assai più distruttive di quelle impiegate finora. Il problema è che l’Occidente sta continuando a scommettere sulla capacità dell’Ucraina di resistere e contrattaccare, ma nella completa assenza di un vero progetto politico da parte europea. Non stiamo riflettendo su ciò che ha determinato questo conflitto e su ciò che ne sarà dello scenario euro asiatico. Temo che se la fine della guerra arrivasse solo su base militare, il dopoguerra sarà foriero di altri conflitti.
L’avvio del processo per l’ingresso dell’Ucraina nell’Ue non è sufficiente?
Realisticamente non sta in piedi. Con l’ultimo allargamento ad est, le capacità dell’Ue di costituirsi in maniera efficace sono venute meno. Inserire un grande Paese devastato come l’Ucraina, soprattutto se rimarranno aperti i problemi con la Russia, mi sembra più retorica politica che una prospettiva reale. Il problema è che stiamo facendo tanta retorica, su tutto. E sarà difficile tornare indietro.
Ma la popolazione ucraina è disposta a sostenere fino in fondo lo sforzo bellico?
Difficile rispondere. Gli ucraini hanno tante posizioni diverse, non esiste un blocco unico. Di fronte all’invasione, anche molti ucraini che non avevano posizioni ostili nei confronti dei russi si sono ravveduti. Quanto sia possibile per gli ucraini continuare a sacrificare ogni giorno centinaia di vite umane è una questione complessa. Stanno dimostrando grande coraggio e grande tenacia, a prescindere da tutti i discorsi politici. Ma mi chiedo quanto potranno resistere se la Russia aumenterà considerevolmente la forza del suo dispositivo militare, cosa che però può anche non avvenire: Mosca ha problemi di mobilitazione e finora non è riuscita a rovesciare sull’Ucraina tutto il suo potenziale umano.
Si sente di dire che la guerra sarà ancora lunga?
È probabile. Al momento non sembra che le due parti possano prevalere. È probabile che la guerra continui perché non si è ancora cominciato a fare un lavoro diplomatico serio per ricomporre il conflitto e ragionare sul dopo. Dal 24 febbraio 2022 ad oggi è stato solo un anno tragico. Dal punto di vista politico, culturale, mediatico e psicologico tra Russia e Occidente si sta aprendo un abisso.
(*) precedentemente pubblicato su “La voce dei Berici“