“Si vis pacem, para bellum”: il minaccioso, terribile adagio latino sembra insistentemente accompagnare in questa lunga fase il cammino dell’Unione europea accanto all’Ucraina, il cui popolo subisce il martirio da parte dell’esercito di Putin. E così anche il Consiglio europeo, che riunisce a Bruxelles i 27 capi di Stato e di governo, torna a promettere aiuti finanziari e militari a Kiev, lasciando solo intravvedere, sullo sfondo, l’urgente, irrinunciabile percorso verso una pace politica e diplomatica (cui peraltro Mosca è finora totalmente sorda).
“Immani sofferenze e devastazioni”. Il summit ha prodotto nella notte un documento di 15 pagine che mette nero su bianco le “conclusioni” sui temi discussi attorno al tavolo dei leader nazionali, che hanno accolto tra loro il presidente ucraino Zelensky: capitoli sono dedicati a Ucraina, economia, migrazione, dialogo Belgrado-Pristina e, in ultimo, terremoto in Turchia e Siria. “Il Consiglio europeo ribadisce la sua ferma condanna della guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina, che costituisce una palese violazione della Carta delle Nazioni Unite”. La “brutale guerra della Russia, in corso ormai da quasi un anno intero, ha inflitto all’Ucraina e alla sua popolazione – affermano i 27 – immani sofferenze e devastazioni. La Russia deve porre fine immediatamente a questa guerra atroce. L’Unione europea rimarrà al fianco dell’Ucraina fornendole il suo risoluto sostegno per tutto il tempo necessario”.
Dialoghi preferenziali. Dichiarazione solenne, all’unisono, che non nasconde però le divisioni interne che ancora una volta si sono palesate a Bruxelles. Zelensky chiede più armi, e una buona parte – ma non tutti – dei Paesi Ue sono pronti a fornirne di ulteriori. Zelensky chiede dialogo politico con l’Ue, e un rapido processo di adesione, ma preferisce il confronto con chi è fuori dall’Unione (il suo volo a Londra prima che a Bruxelles). Oppure, facendo tappa a Parigi, instaura dialoghi preferenziali con alcuni Paesi Ue (Francia e Germania), mentre altri – Italia in primis – si dicono offesi e “tagliati fuori” dai colloqui. È l’Europa a più velocità che si conferma, nel momento in cui occorrerebbe piena coesione e una sola voce. Una voce che insista sulla pace.
Sanzioni e stop al gas. “L’Unione europea continua a sostenere senza riserve l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina entro i suoi confini riconosciuti a livello internazionale, come pure il suo diritto naturale di autotutela contro l’aggressione russa”, si legge ancora nel documento prodotto dal Consiglio europeo. L’Ue, vi si afferma, manterrà la consultazione con i partner internazionali, nonché “la pressione collettiva esercitata sulla Russia affinché ponga fine alla guerra di aggressione e ritiri le sue truppe e il suo materiale militare dall’Ucraina”. Proseguiranno parimenti le sanzioni e lo sganciamento dell’Europa da gas e petrolio russi, così da impoverire le casse del regime di Putin.
Dieci punti e un vertice. Poi, finalmente, un paragrafo in cui si cita la pace: “il Consiglio europeo ribadisce la disponibilità dell’Unione europea a sostenere l’iniziativa dell’Ucraina per una pace giusta basata sul rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale del Paese”. Finora la Russia “non ha dimostrato alcuna reale volontà di raggiungere una pace equa e duratura”. Il Consiglio europeo “esprime il proprio sostegno a favore della formula di pace del presidente Zelensky e ribadisce la determinazione dell’Unione europea a collaborare attivamente con l’Ucraina sul piano di pace in dieci punti”. L’Unione europea “sostiene l’idea di un vertice sulla formula di pace finalizzato ad avviarne l’attuazione”. Seguono altre promesse circa la futura adesione dell’Ucraina e nuovi aiuti umanitari a Kiev – con uno sforzo notevole e generoso –, per poi tornare a promettere armi, forse persino i jet per una guerra dei cieli.
Armamenti e soldati. “L’Unione europea continuerà a fornire all’Ucraina e alla sua popolazione fermo sostegno a livello politico, economico, militare, finanziario e umanitario per tutto il tempo necessario”. Ad oggi, l’assistenza complessiva fornita all’Ucraina dall’Unione europea e dai suoi Stati membri “ammonta ad almeno 67 miliardi di euro”. L’Unione europea, si legge ancora, “ha approvato una settima tranche di sostegno militare a favore dell’Ucraina per un valore di 500 milioni di euro nell’ambito dello strumento europeo per la pace e ha avviato la missione di assistenza militare dell’Unione europea per la formazione di un primo contingente di 30mila militari nel 2023”. Ciò porta il sostegno militare complessivo a circa 12 miliardi”. Miliardi e armamenti e soldati per fare la guerra.
Soldi per costruire muri. Sul nodo migratorio nessuna novità tranne l’insistenza dei Paesi dell’Europa centro-orientale ad erigere muri. Costruire muri sì; costruire un politica migratoria comune, nel segno della solidarietà con i Paesi mediterranei di primo approdo, no. Questo il risultato che il governo italiano porta a casa, ancora una volta. Il Consiglio europeo parla infatti di “un controllo più efficace delle frontiere esterne dell’Ue” e di rimpatri. Modesto l’accenno al dialogo con i Paesi di partenza e di transito dei flussi migratori. Risulta persino un richiamo alla Commissione affinché finanzi “misure degli Stati membri che contribuiscono direttamente al controllo delle frontiere esterne dell’Unione”: ovvero pagare muri e filo spinato con i soldi dei cittadini europei.
Aiuti a Turchia e Siria. Il Consiglio infine auspica un accordo tra Serbia e Kosovo nel quadro di una stabilizzazione dei Balcani e promette aiuti alle popolazioni terremotate in Turchia e Siria: gli oltre ventimila morti del sisma riescono a unire gli Stati membri in chiave di aiuti e piena solidarietà. Sullo sfondo rimangono le ripicche politiche, i musi lunghi tra Meloni e Macron, l’ennesimo vertice in cui l’Unione non riesce a darsi una visione comune sulle grandi sfide globali che l’attraversano e richiederebbero proprio una Unione finalmente unita.