Mettere fine alla diatriba decennale tra Kosovo e Serbia e trovare un accordo da cui partire per dare slancio alla prospettiva europea dei due Paesi balcanici, a lungo antagonisti. Negli ultimi due mesi diversi inviati dagli Stati Uniti e dall’Unione europea, ma anche delegazioni francese, tedesca e italiana, hanno cercato di convincere le autorità di Pristina e di Belgrado a rilanciare il dialogo. Dalla proclamazione della indipendenza dell’ex provincia della Serbia (17 febbraio 2008), Belgrado ha sempre negato l’esistenza del Kosovo, reclamando il territorio come proprio e ostacolando l’ammissione di Pristina in tutte le organizzazioni internazionali, soprattutto l’Onu. Grande alleato in questo processo della Serbia è stata la Russia. Ora però i tempi sono cambiati e la pressione internazionale è fortissima.
Oggi si svolge un incontro decisivo ospitato dall’Alto rappresentate per la politica estera dell’Ue Josep Borrell sulle relazioni Kosovo-Serbia con la partecipazione del presidente serbo Alexander Vucic e il premier kosovaro Alexander Kurti. “Sarà necessario arrivare a compromessi da ambedue le parti”. Ma è inevitabile un compromesso; è passato tantissimo tempo dal 2011 quando il dialogo è stato ripreso sotto l’egida dell’Ue con frequenti episodi di tensione, e la comunità internazionale non può permettersi un altro conflitto in Europa dopo l’Ucraina”, spiega al Sir l’analista politico ed esperto dei Balcani, Nikolay Krastev. Ora il compito difficile di giungere a un accordo sta ai due leader: il premier del Kosovo Albin Kurti e il presidente serbo Alexander Vucic. Secondo Kurti, intervistato dalla Afp, il termine posto dai partner occidentali per raggiungere un’intesa è la fine di marzo.
Il mancato riconoscimento. Il Kosovo non è riconosciuto da ben cinque Paesi-membri dell’Ue: Spagna, Grecia, Romania, Slovacchia e Cipro, tutti Stati che hanno consistenti minoranze presenti sul loro territorio. “La proposta franco-tedesca però gode dell’appoggio di tutti i 27 Paesi membri e probabilmente una volta accettata da Pristina e Belgrado, credo che la Grecia accetterà il riconoscimento”, rileva Krastev.
La proposta franco-tedesca. La proposta si articola in nove punti incentrati sul reciproco rispetto della giurisdizione e dell’integrità territoriale dei due Paesi. Nello specifico, i due Stati vengono invitati a sviluppare “relazioni di buon vicinato basate sulla parità di diritti”, a “risolvere le controversie con mezzi pacifici” e a “istituire missioni permanenti presso la sede del rispettivo governo”. Molto importante è il fatto che “nessuna delle due parti può rappresentare l’altra nella sfera internazionale”, che potrebbe aprire la strada a Pristina per aderire alle Nazioni Unite e al Consiglio d’Europa. In cambio di questi compromessi per la Serbia si dovrebbe aprire una via veloce nel processo di integrazione nell’Ue, mentre Pristina dovrà accettare la creazione dell’Associazione dei comuni a maggioranza serba in Kosovo.
La questione dei comuni. Si tratta di uno degli elementi chiave dell’accordo ed è in corso un animato dibattito su ciò che dovrebbe rappresentare. In termini generici, l’Associazione dei comuni dovrebbe essere una struttura per le municipalità a maggioranza serba per coordinarsi nell’ambito dell’educazione, della salute e dello sviluppo economico regionale. “Il timore di Pristina è di non creare un’entità simile alla Repubblica Serba in Bosnia-Erzegovina, un’enclave serba che potrebbe destabilizzare il governo centrale”, afferma Krastev. Dall’altra parte, l’accordo non è facile neanche per il presidente serbo Alexander Vucic, accusato dai nazionalisti in parlamento di essere un traditore. A Belgrado si sono svolte delle proteste contro l’ultimatum dei partner occidentali.
Belgrado rischia l’isolamento. “Il presidente Vucic sa molto bene che cosa rischia Belgrado”, spiega l’analista esperto dei Balcani, “di interrompere il cammino verso l’integrazione europea, il ritiro degli investimenti occidentali e l’isolamento politico della Serbia”. Attualmente il 63% degli investimenti diretti stranieri provengono da Paesi dell’Ue e i serbi dovrebbero in tal caso rinunciare al loro standard di vita.
Il tempo di agire è ora. “La comunità internazionale non può permettersi di avere instabilità nei Balcani perché il beneficiario di ogni squilibrio nella zona è la Russia”, avverte Krastev. A suo avviso, “dopo l’aggressione in Ucraina le forze occidentali non vogliono rischiare altri focolai di tensione”. Questo spiega anche la fretta europea di giungere a una normalizzazione della regione.